Giovedì 4 dicembre un convegno promosso dal Consiglio nazionale del notariato, a cui hanno aderito l'Università Bocconi di Milano, Google, Microsoft e lo studio legale Portolano Cavallo. L'obiettivo è di "sviluppare un protocollo che agevoli gli eredi di un utente scomparso nei rapporti con l'operatore"
Ci sono i genitori della modella suicida che chiedono a Facebook di accedere al suo account. C’è una donna brasiliana che vuole la rimozione del profilo della figlia morta. Ci sono la madre e il padre di un soldato americano ucciso in Iraq, che chiedono a Yahoo! di potere leggere le sue ultime mail. E come questi, ci sono molti altri casi dove si pone il problema della eredità digitale: dopo la morte di una persona, che ne sarà dei suoi dati registrati sul web? Della sua mail? Dei suoi profili su Facebook o su Twitter?
Non di rado la questione arriva davanti a un notaio, se non addirittura a un giudice. Ed ecco allora che nasce una nuova esigenza, fino a pochi anni fa impensabile: stabilire la sorte degli archivi digitali di un utente della rete dopo la sua scomparsa. In questo senso si è mosso il Consiglio nazionale del notariato, che ha lanciato un tavolo di lavoro cui hanno aderito l’Università Bocconi di Milano, Google, Microsoft e lo studio legale Portolano Cavallo. Giovedì 4 dicembre, i soggetti in campo si sono trovati nell’ateneo milanese per confrontarsi sul tema durante un convegno dal titolo “Identità ed eredità digitali. Stato dell’arte e possibili soluzioni al servizio del cittadino“. All’evento ha partecipato anche il professor Stefano Rodotà, che ha introdotto il tema delle identità digitali.
La proposta ideata dal Notariato nazionale, precisa l’ente in una nota, è quella di “sviluppare un protocollo che agevoli gli eredi di un utente scomparso nei rapporti con l’operatore, al fine di facilitare l’accesso alle risorse online del defunto”. Obiettivo: fornire ai congiunti “le informazioni necessarie secondo una procedura telematica concordata, in modo da ridurre per quanto possibile costi e tempi d’attesa”. Già, perché i dati che affidiamo al web hanno un valore economico da non sottovalutare: secondo un sondaggio curato da McAfee nel luglio del 2014, ogni utente della rete stima di conservare sui propri dispositivi digitali una serie di beni con un valore medio di 35mila dollari. L’incontro alla Bocconi è stato solo il primo passo di un percorso che i vari soggetti in campo intendono intraprendere insieme, quindi bisognerà attendere per avere dei risultati concreti. Anche se qualche operatore si è già mosso per conto suo in questa direzione.
E’ il caso, per esempio, di Google, che nell’aprile del 2013 ha attivato lo strumento “Gestione account inattivo“. “A pochi piace pensare alla morte, soprattutto alla propria – recita il comunicato di lancio – Ma pianificare cosa succederà dopo che non ci sarai più è importante per le persone che ti stanno vicino”. Lo strumento permette di decidere che fine faranno i dati memorizzati dai servizi Google dopo un tot di tempo che il profilo risulta inattivo e che quindi la persona si presume morta o incapace di usarlo. Innanzitutto, l’utente può scegliere quanto tempo deve trascorrere affinché il suo account sia considerato inattivo. Poi, può decidere la sorte dei suoi dati, una volta scaduto il termine. Il patrimonio online può essere eliminato o può diventare accessibile a determinate persone scelte dall’interessato. Insomma, una sorta di testamento digitale.