Per Pecoraro tre possibilità: commissario, accesso agli atti o nessun intervento per far proseguire l'inchiesta. Marino: "Non mi dimetto, secondo voi ho affrontato un anno e mezzo di cambiamenti per dire che vado al mare?". Boschi: "Il Pd è intervenuto subito, gli altri non mi pare". Nelle intercettazioni spunta una maxi-tangente a un parlamentare
“Per Roma potrebbero esserci tre ipotesi, dopo la valutazione delle carte dell’inchiesta: o un accesso agli atti, o lo scioglimento o una terza via che prevede di non intervenire essendo in corso l’attività giudiziaria”. Così il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro ricordando che prima deve riferire al ministro dell’Interno Angelino Alfano. “In virtù di di questo quadro della situazione non ancora definito è prematuro parlare di cose già decise. Per il Campidoglio, allo stato, non è stato deciso nessun invio di commissari prefettizi con compiti ispettivi”, ha aggiunto il prefetto. Pecoraro ha quindi ribadito la necessità che ogni valutazione sia fatta dopo l’incontro con il ministro Alfano.
Nessun ispettore della prefettura è arrivato al Campidoglio, almeno per il momento. Pecoraro vedrà il sindaco Ignazio Marino martedì 9. Intanto il primo cittadino chiarisce di non avere alcuna intenzione di dimettersi: “Ma secondo voi ho affrontato un anno e mezzo di cambiamenti così radicali per poi dire ‘ho scherzato adesso vado alla spiaggia’?”. Il sindaco è intervenuto alla “Factory365”, una specie di Leopolda dei giovani democratici assicurando che “con noi gli affari sono finiti. Si vergognino e se ne vadano da questa città. Noi stiamo dall’altra parte”. E’ la giornata in cui Marino riceve anche un nuovo sostegno – apparentemente convinto – da parte del partito. “E’ giusto individuare le responsabilità – dice il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi – ma attenzione a tirare in mezzo il Comune di Roma, per arrivare al commissariamento ci vogliono estremi di legge precisi e qui non ci sono estremi. Marino deve restare e governare bene”.
Marino: “Tutti attenti sulla zona pedonale, mentre chiudevo Malagrotta”
A Rainews24 Marino ha anche detto che pur non essendo “un investigatore, dal momento in cui mi sono insediato in Campidoglio mi resi conto che alcune questioni non andavano. E’ stato poi un susseguirsi di denunce che ho fatto al procuratore Pignatone e di cambiamenti nelle società principali: una delle prime persone che rimossi fu Franco Panzironi, ad di Ama”. E rivendica: “C’è stata molta più attenzione sulla pedonalizzazione dei Fori imperiali – aggiunge – piuttosto che sulle altre scosse fortissime che io ho messo in atto da subito: ad esempio la chiusura della discarica di Malagrotta o l’aver mandato via il consiglio d’amministrazione di Assicurazioni di Roma. Perché le decisioni che io ho preso non sono state prese nei cinque anni precedenti? Questo bisognerebbe domandarsi…”. Il sindaco risponde anche alle accuse che lo riguardano: il finanziamento ricevuto dalla cooperativa 29 giugno (centro dell’inchiesta) per la campagna elettorale delle amministrative. “Sono finanziamenti pubblici – replica Marino – che un candidato raccoglie. Candidature importanti richiedono un finanziamento trasparente. E non sono buste di soldi. Ma soldi trasferiti con bonifico bancario e denunciati alla Corte dei conti. Esattamente come io ho ricevuto finanziamenti dalle cooperative di Roma. Quella cooperativa si occupava del reinserimento dei detenuti. Se poi a capo ci fosse un delinquente io non sono un procuratore, non sono un investigatore. Non avevo motivo per poterlo sapere”.
Boschi: “Il Pd è intervenuto subito, gli altri non mi pare”
Per la Boschi “bisogna fare processi presto senza sconti a nessuno ma non bisogna fare di tutta l’erba un fascio perché non tutti hanno rubato – dice -E’ giusto che escano nomi e cognomi e si individuano responsabilità specifiche ma il Pd è intervenuto subito, gli altri non mi pare che stiano facendo pulizia”. Parlando a SkyTg24 il ministro ha aggiunto che “l’inchiesta è una vergogna e bisogna fare presto i processi ma non tutti sono uguali, se si dice che tutti sono colpevoli non paga nessuno mentre deve pagare chi ha sbagliato”.
La maxi-tangente a un deputato
Intanto emergono altri aspetti dell’intreccio tra gli interessi di Mafia Capitale e la politica. Cioè una costola – non irrilevante – della vicenda già nota da tempo della mazzetta da 600mila euro versata da Breda Menarinibus (Finmeccanica) per l’aggiudicazione dell’appalto per la fornitura di 45 bus al Comune di Roma destinati al cosiddetto Corridoio Laurentino. E questa storia racconta, secondo gli investigatori, che parte di quella tangente finì a un deputato nazionale che ora la Procura di Roma sta cercando di identificare. Il “buco nero”, quello relativo al coinvolgimento di un parlamentare, costituisce uno dei filoni dell’inchiesta sul gruppo capeggiato da Massimo Carminati anche se, per il momento, senza indagati.
La mazzetta da 600mila euro aveva messo nei guai tempo fa Riccardo Mancini, uno dei fedelissimi di Gianni Alemanno, ed il presunto coinvolgimento di un deputato è emerso, come spiega Repubblica, in una intercettazione in cui Salvatore Buzzi afferma: “I soldi non li ha presi Mancini, l’ha dati ad un deputato, noi sappiamo a chi l’ha dati. Lo sa tutta Roma“. Quel nome, se fosse vero, non compare in nessuna intercettazione né, tantomeno, in appunti o documenti. Per la tangente della Breda Menarinibus sono stati recentemente rinviati a giudizio Mancini, il commercialista Marco Iannilli (proprietario della villa dove viveva Carminati) e i dirigenti dell’azienda di costruzione Luca D’Aquila e Giuseppe Comes. Secondo l’accusa 500mila finirono a Mancini, il quale ha ammesso di averne ricevuti 80mila, e 100 a Iannilli.
Buzzi disse: “A noi ci manda Goffredo”
Un altro risvolto emerso dalla mole di documenti che i carabinieri hanno inviato alla Procura di Roma è la circostanza che ancora Buzzi si vantava della sponsorizzazione di Goffredo Bettini, europarlamentare del Pd e figura centrale nel partito a Roma. E’ il 17 marzo e Buzzi parla con Luca Odevaine, anche lui arrestato nell’operazione del Ros. “Secondo me – dice Odevaine – A Letta (Gianni, con cui hanno un appuntamento, ndr) je se potrebbe parla’ de quell’altra questione, quella della Regione Lazio”. “Ma lì srvono, non è alla nostra portata, capito qual è il problema – risponde Buzzi – A noi ce manda Goffredo con una precisa indicazione”. Bettini in una nota replica: “Sfido chiunque, ad affermare l’esistenza di un mio qualsiasi intervento o pressione anche su un solo amministratore pubblico per favorire la 29 Giugno. Chi lo farà verrà querelato”. “Negli ultimi anni, come la generalità degli esponenti del Pd e non solo – aggiunge – ho incontrato, credo due o tre volte, i dirigenti e i lavoratori della cooperativa. Nessuno, estraneo alla cupola del malaffare, poteva sospettare che la 29 Giugno, dietro il suo impegno sociale e la sua storia di sinistra, nascondesse un’attività criminosa. Tantomeno io, lontano da 10 anni dalla realtà gestionale e amministrativa di Roma. Purtroppo, in un clima intossicato che denuncio da anni, qualsiasi colloquio è esposto al millantato credito e ad una utilizzazione perversa”.