Antonio Mancini, l'Accattone, è stato uno dei capi della banda insieme a Danilo Abbruciati, Franco Giuseppucci, Maurizio Abbatino ed Enrico De Pedis: "Lui oggi sarebbe in Parlamento, come minimo sottosegretario"
Antonio Mancini conosce Carminati da “quando aveva tutti e due gli occhi boni”. Fine Anni 70, la Banda della Magliana stava conquistando Roma: pallottole, droga, botte, poker e locali. Roma sapeva, la giustizia ancora no. Tra Danilo Abbruciati, Enrico De Pedis detto Renatino, Abbatino e gli altri, tra loro, c’era anche lui, Mancini, uno dei boss, uno abituato “a drizzare i torti”, uno che la strada la batteva dalla fine dei Sessanta “quando ho iniziato la mia vita da bandito”. Ora ha 68 anni, vive a Jesi, si occupa di sociale, è un uomo libero, ha ricostruito la sua verità in un libro scritto con Federica Sciarelli, il suo soprannome era, ed è, Accattone, perché è da sempre un lettore di Pier Paolo Pasolini. Ma se Pasolini sapeva ma non aveva le prove, lui sa perché c’era. E il nuovo Re di Roma l’ha visto crescere.
Lei da anni indica in Carminati, la persona più importante per la criminalità della Capitale. Quindi non è stupito dell’arresto…
Per niente, la più grossa sorpresa, anzi l’unica, sono i termini che utilizza Massimo. Io me lo ricordo come una persona educata, riservata, taciturna, conosceva l’italiano, ora si aggrappa a espressioni forti che non gli appartenevano. Lì, tra i fascisti, gli sbruffoni erano Cristiano Fioravanti, fratello di Valerio, e Alessandro Alibrandi, non lui.
Ha imparato…
Sì, per stare nel mondo di mezzo devi mantenere certi atteggiamenti, devi plasmarti a seconda di con chi parli.
La prima volta che lo ha incrociato?
Prima di vederlo, ne conoscevo la fama, era tenuto in considerazione da tutti, stimato, mi raccontavano di un suo omicidio a un tabaccaio su ordine di Giuseppucci. Poi un’altra volta De Pedis mi disse che era stato sempre Carminati a far parte del commando che ha ammazzato Pecorelli (giornalista ucciso nel 1979, ndr).
Si intuiva la stoffa del leader?
Inizialmente no, per me era un ragazzo d’azione. Ma è stato bravo a riempire il vuoto lasciato da Renatino De Pedis dopo la sua morte.
Lei eri amico di De Pedis…
Eravamo come fratelli, passavamo quasi tutte le domeniche insieme, dalla colazione in poi, appuntamento fisso alla pasticceria Andreotti, e lì partiva il suo show.
Quale show?
Si attaccava al telefono e iniziava il giro di chiamate: dal magistrato all’imprenditore. E mentre parlava gli veniva automatico chinarsi. Una volta gli dissi: ‘A Renà, me stai a fa vergognà, tacci tua, stai sempre piegato’.
Cosa le rispose?
‘Oggi sto piegato io, domani tocca a loro’. Sa cosa penso? Se Renatino non fosse stato ucciso, oggi starebbe in Parlamento, minimo sottosegretario. Lui è morto incensurato. Eppure ha ammazzato la gente con me, ha rapinato con me, è stato dentro, ma è riuscito a farsi ripulire tutto.
Secondo lei c’è qualcuno sopra Carminati?
C’è sempre qualcuno dei ripuliti a comandare, a stare sopra, senza i ripuliti non andremmo da nessuna parte, fermi alle rapine. Anche per questo nella Banda c’è stata la frattura tra noi della Magliana e quelli di Testaccio.
Diverse visioni?
Loro avevano preso le sembianze mafiose, esattamente quelle che gli inquirenti hanno scoperto ora. Noi della Magliana eravamo dei banditi da strada, amavamo le rapine, senza guardarci le spalle, senza compromessi. Volevo una Ferrari? Un colpo e la compravo. Me la sequestravano? Sti cazzi, un altro colpo e la ricompravo. Ho speso tutto. De Pedis invece si è comprato locali, ristoranti, discoteche, era padrone di Campo dei Fiori. E secondo lei, oggi, quei soldi chi se li magna?
Me lo dica lei.
I prestanome e la moglie. Io me li ma-gna-vo!
Sembra il campione del Manchester, George Best, quando dichiarava: “Ho speso molti soldi per alcool, donne e macchine veloci… il resto l’ho sperperato”.
Esatto. In quegli anni ascoltavo musica rock, leggevo l’Unità e Pasolini, mentre gli altri della Banda frequentavano Califano, tra donne e droga.
La criminalità a Roma è arrivata con la Banda?
Ma no. La gente moriva anche prima, non come quando ci siamo stati noi, ma certe situazioni c’erano già, gli Abbruciati, Diotallevi avevano già colpito.
Diotallevi è l’altro big di oggi.
Uno dei più grossi.
Perché Carminati è l’erede di De Pedis?
Di tutti gli altri che c’erano attorno a Renato, era l’unico ad avere lo spessore giusto, appellava De Pedis come “presidente”, ci sono le intercettazioni a raccontarlo, ed era l’unico a poter riacchiappare i fili delle varie componenti.
Cosa intende?
Ha presente quante e quali prove avevano su di lui rispetto all’omicidio Pecorelli? Chiunque altro, me compreso, sarebbe stato condannato.
Da De Pedis a Carminati, e oltre Carminati?
Ci sono altri nomi, altri ex della Banda, basta voler vedere come stanno i fatti…
Lei divide testaccini e Magliana.
Alla fine loro non erano più criminali classici, erano imprenditori. Sa quanto guadagnava De Pedis? 180 milioni al giorno con le slot machine. Al giorno. Figurati adesso.
Quei soldi dove sono finiti?
Ce li hanno loro, gli sono serviti per acquisire potere.
Rispetto a voi, hanno vinto loro, i loro compromessi.
Eh certo. E le dico una cosa: Carminati esce, prima di quanto potete immaginare, altrimenti dovrebbero incarcerare mezzo mondo.
A lei la politica l’ha mai aiutata?
(Ride). Ero incarcerato a Pianosa, vita terribile. Così dico ai miei: portatemi via, voglio cambiare galera. Dopo pochi giorni, mi chiama il capo-reparto, mi fa sedere e mi domanda: ‘Ma tu al ministero chi cazzo hai? Mi stanno a fa due coglioni così per farti mandare via’. Ero diretto a Busto Arsizio, in confronto una reggia.
E chi aveva al ministero?
Arrivavamo ai piani più alti, ai vertici assoluti, gente mai stata condannata nonostante le dichiarazioni mie e di Fabiola Moretti (ex compagna di Abbruciati, amica di De Pedis e vicina a Mancini).
Carminati insieme a Buzzi ha toccato trasversalmente la politica, sorpreso?
No, è normale. Anche noi facevamo lo stesso, anche noi eravamo agli antipodi sugli ideali politici, ma in certe situazioni le divisioni si superavano.
Sapeva che era dei Nar?
Eccome, quando ero latitante davo appoggio anche ai suoi amici. Una volta Belsito (ex terrorista, condannato a quattro ergastoli, ndr) venne a rifugiarsi, e senza nulla temere si mise a giocare con delle bombe a mano.
Come se nulla fosse?
Nulla. E ne aveva un borsone pieno, fino a quando mi sono incazzato e gli ho detto ‘oh, ma che stai a fa’!’
E lui?
Mi rispose: ‘Sono pronte per i carabinieri nel caso ci vengano sotto o per un posto di blocco’.
De Pedis cosa diceva di Carminati?
Innamorato, si fidava in tutto. Ma non solo Renato, anche gli altri boss lo adoravano nonostante fosse un ragazzetto.
Ernesto Diotallevi?
Lo conosco dagli Anni 70, era rapinatore insieme ad Abbruciati.
Mokbel?
Mi faceva da guardaspalle insieme ad Antonietto D’Inzillo, gli davo dieci milioni di lire a settimana.
I Casamonica?
Negli Anni 80 non erano niente, l’unico un po’ conosciuto era Guerino.
Nelle intercettazioni si dice: “Noi famo i soldi con gli immigrati, sono meglio della droga”.
Non ci credo, non è possibile. È una questione di bacino d’utenza, con la droga fai numeri più alti, dodici poveri negri e qualche campo rom non può pareggiare l’utilizzo degli stupefacenti. La droga e le armi ti fanno comandare una piazza, e lì fai la differenza.
Oltre alla droga, non si parla mai di donne.
Vero. Ed è strano, molto strano.
Lei una volta ha dichiarato: “Siamo stati usati e strumentalizzati dalla politica”.
Noi eravamo il terzo mondo di Carminati, quello in basso; mentre oggi quello di mezzo, e quello sopra, si utilizzano a vicenda, per questo dico che Carminati ne uscirà pulito: il mondo di sopra si salverà, e porterà con sè il mondo di mezzo e ucciderà il mondo di sotto.
Nel vostro gruppo, quanto era importante Carminati?
Per i testaccini era l’unico ad avere le chiavi per entrare dentro l’armeria del ministero della Sanità. Era il garante. Anche i boss dovevano passare da lui, per noi della Magliana quel ruolo era ricoperto da Sicilia, per questo l’ho tirato in mezzo rispetto alla strage di Bologna.
Cosa c’entra?
Il fucile ritrovato alla stazione stava nella nostra armeria, e lui aveva le chiavi e lui già stava dentro a certe storie di Servizi…
Servizi segreti.
Sì, i testaccini avevano questi rapporti, avevano in mano tutte le costellazioni legate alla parte pulita, o presunta pulita, della società.
I colletti bianchi…
Sì, loro. A differenza di noi si muovevano con un passo più lungo.
In qualche modo la Magliana ha perso.
Eravamo un peso, ci hanno scaricato.
Carminati ha detto: ‘Quelli della banda erano dei pezzenti…
Quei pezzenti gli hanno permesso di diventare quello che è, gli hanno salvato il culo.
In giro c’è anche Nicoletti, considerato il cassiere della Magliana.
Non il mio, degli altri sì, compreso De Pedis.
Nicoletti è ancora potente?
Perché, lo hanno intaccato? Gli puoi anche sequestrare 200 milioni di euro, sono niente. Non sono stato chiaro: questi non spariranno mai, e vedrete se ho ragione o meno.
Twitter: @A_Ferrucci
da Il Fatto Quotidiano dell’8 dicembre 2014