"Un'impresa possibile" è il filmato caricato sulla web tv del Pd che parla ben di "40 crisi" risolte dall'esecutivo. Ma alcune delle società citate sono fallite o non hanno finora trovato un'intesa. E, nonostante la produzione industriale sia ai minimi dal 1990, il video mostra anche la ripresa secondo settore. E dimentica le decine di ferite aperte nel tessuto economico italiano
Le note della colonna sonora di Amelie accompagnano le immagini di un’Italia che lavora. Poi la musica sfuma e lascia spazio alle parole del premier Matteo Renzi che annuncia in parlamento la risoluzione della vertenza Ast di Terni. Mettiamo in pausa. Comincia così il video “Un’impresa possibile“, caricato su Youtube dalla redazione di YouDem, la web tv del Partito democratico, nata sul satellite e poi dirottata sulla rete.
Un filmato lungo poco più di un minuto e mezzo, con un messaggio preciso: “Sono quaranta le crisi aziendali di cui il governo Renzi si è occupato e che sono state risolte a partire da febbraio”. Eppure, c’è una nota stonata nella propaganda a suon di fisarmonica dell’epopea renziana: nell’elenco delle vertenze “risolte” ce ne sono alcune ancora aperte e altre che si sono chiuse con un esito tutt’altro che positivo.
Clicchiamo “play”, andiamo avanti. Mentre la voce fuori campo snocciola le crisi prese a cuore dal governo, ecco che i nomi delle aziende “salvate” dall’esecutivo Renzi sbucano dal video e riempiono lo schermo. In un angolino a sinistra, si nota il nome della Keller, azienda che costruisce vagoni ferroviari. Il 17 novembre, la società è stata dichiarata fallita dal tribunale di Cagliari. L’azienda conta 475 dipendenti, 285 a Villacidro, in Sardegna, e 190 a Carini, in Sicilia: per loro si sono spalancate le porte del licenziamento. Contro la sentenza è partita una serie di ricorsi, portati avanti dai lavoratori, dai sindacati, dalle Regioni Sardegna e Sicilia e dallo stesso ministero dello Sviluppo Economico. Una vicenda conclusa nel peggiore dei modi, che si spera possa essere riaperta presto.
Un’altra vertenza etichettata come “risolta” è quella di Natuzzi, il gruppo che possiede il marchio Divani&Divani. L’azienda, dopo avere annunciato 1.700 esuberi, ha firmato un accordo nell’ottobre del 2013, quindi sotto il governo Letta. L’intesa riduceva le eccedenze a 1.500 unità e prevedeva un anno di cassa integrazione, il tempo necessario per trovare un nuovo accordo per rilanciare la produzione. A distanza di dodici mesi, tuttavia, le parti non hanno trovato un’intesa. Così l’azienda ha chiesto un altro anno di cassa. Insomma, un’altra partita aperta.
Alla voce “vertenze più rilevanti”, invece, è annoverata la vicenda Alitalia: in effetti, ad agosto, è stato siglato l’accordo che ha sancito le nozze con la compagnia emiratina Etihad. Quello che YouDem non specifica è che l’intesa prevedeva 2.251 esuberi e non è stata firmata da uno dei più rappresentativi sindacati dei trasporti, la Filt Cgil. Una parte delle eccedenze è stata ricollocata o ha accettato un incentivo all’esodo, ma sono state tagliate fuori 994 persone che da novembre sono andate incontro alla mobilità. Il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi ha detto che “solo (ma speriamo siano meno) circa 440 persone alla fine di questa procedura rimarranno in mobilità”. Ma Nino Cortorillo, segretario nazionale Filt Cgil, ha fissato il numero di esuberi in 1300 unità: “Vorremmo ricordare a Lupi che ai 440 licenziati finali andrebbero aggiunti coloro che hanno accettato di uscire dall’azienda solo perché sicuri di essere licenziati. A questi numeri inoltre vanno sommati altrettanti 500 ancora in buona parte da ricollocare”.
Ma andiamo avanti. “Ed ecco la cartina della ripresa industriale“, recita la voce fuori campo, mentre lungo lo stivale compaiono cerchi blu pop-up, che indicano i successi delle vertenze seguite al Mise. Quello che non è chiaro è il concetto di “ripresa industriale” sbandierato da YouDem. Già, perché le cifre dell’Istat dipingono un’altra Italia. L’ultima rilevazione sulla produzione industriale, che risale a settembre 2014, segna il minimo storico almeno dal 1990: il dato destagionalizzato sprofonda a quota 89,8, posto 100 il livello del 2010. A febbraio, quando Matteo Renzi è diventato premier, il dato si attestava a 91,8. I numeri lasciano ben poco spazio all’idea di una ripresa industriale.
“L’intesa raggiunta tra parti sociali, imprenditori e lavoratori – prosegue la speaker – ha portato al superamento di situazioni negative di crisi“. Certo, ma se YouDem festeggia le quaranta vertenze “risolte”, bisogna anche ricordare le decine di ferite aperte nel tessuto economico italiano, che si portano dietro le incertezze sul futuro di migliaia di lavoratori. Basti pensare alla compagnia aerea Meridiana, che a settembre ha avviato 1.634 licenziamenti. E una volta atterrati in aeroporto, la situazione resta critica.
La società Groundcare, che si occupa dell’assistenza per i passeggeri di Fiumicino e Ciampino, è stata dichiarata fallita nel maggio del 2014. Per gli 850 dipendenti è scattata la cassa integrazione, ma se non si trova un acquirente in tempi stretti, gli operatori sono destinati al licenziamento. Dai cieli all’asfalto, anche il settore auto non sorride. L’esempio più clamoroso è quello di Termini Imerese, lo stabilimento che Fiat ha fermato nel 2011. Da allora i 1.100 dipendenti dell’impianto, indotto compreso, sono in cassa integrazione: l’ammortizzatore scadrà a fine dicembre.
La newco Grifa si è candidata per rilanciare il sito producendo auto ibride, ma finora non ha ancora dimostrato di avere la stabilità finanziaria necessaria ad avere il via libera dal Mise. Se non si chiuderà un accordo, per gli operai scatterà il licenziamento. Un’altra lunga vertenza riguarda l’azienda informatica Agile ex Eutelia: mentre la dirigenza dell’azienda è finita a processo per bancarotta fraudolenta, aggiotaggio e associazione a delinquere, nel 2010 i dipendenti si sono trovati in cassa integrazione. I 780 lavoratori rimasti in seno alla società si trovano con l’ammortizzatore sociale in scadenza a fine dicembre e senza prospettive per il futuro. Un altro settore in crisi nera è quello dei call center: solo per citare i due casi più preoccupanti, Almaviva ha annunciato tremila esuberi a Palermo, mentre la Ecare di Cesano Boscone (Milano) si appresta a chiudere licenziando quasi 500 persone. Ma la voce amica ci rassicura: il governo ha individuato “chiare linee strategiche che nel passato sono mancate”. Per poi salutarci: “Un’impresa possibile”.