Vito Galatolo, il boss che ha deciso di collaborare con la magistratura, ha svelato i particolari dei preparativi per l'autobomba contro il pm. L'ordine arrivava direttamente da Matteo Messina Denaro, ma il materiale esplosivo era pieno di infiltrazioni. Da qui l'ipotesi che potesse far parte del carico della Laura Cosulich
Per uccidere Nino Di Matteo il tritolo era arrivato dalla Calabria. È l’ultima rivelazione di Vito Galatolo, il boss dell’Aquasanta che ha deciso di “saltare il fosso” e collaborare con la magistratura, svelando il piano di morte organizzato da Cosa Nostra per assassinare il pm che indaga sulla Trattativa Stato mafia. Centocinquanta chili di tritolo, un attentato già in fase organizzativa, ordinato direttamente da Matteo Messina Denaro, che con alcune lettere inviate ai boss palermitani aveva emanato l’ordine di morte per Di Matteo nel dicembre del 2012. A quel punto i padrini del gotha palermitano si erano riuniti in summit: e nella riunione del 9 dicembre 2012 Girolamo Biondino, fratello dell’ex autista di Totò Riina, aveva informato gli altri boss degli ordini di Messina Denaro.
Di Matteo va fatto fuori “perché mi hanno detto che è andato troppo oltre” scrive la primula rossa di Castelvetrano ai boss palermitani. Che dopo aver raccolto 600mila euro, avevano iniziato a cercare l’esplosivo per l’attentato. E almeno una parte del tritolo era arrivato in Sicilia dalla Calabria: solo che quel quantitativo di esplosivo era in cattive condizioni, dato che presentava tracce d’umidità e infiltrazioni d’acqua. I boss di Cosa Nostra si erano subito attivati con i loro referenti calabresi riuscendo a farsi cambiare l’esplosivo difettoso: il particolare dell’infiltrazione d’acqua nel tritolo, però, suggerisce agli inquirenti un’ipotesi investigativa. E cioè la possibile provenienza dell’esplosivo dalle stive della Laura Cosulich, la nave mercantile che, come racconta l’edizione palermitana di Repubblica, è affondata al largo di Saline Joniche durante la seconda guerra mondiale. Le stive della Laura C sarebbero stracolme di tritolo: nel maggio scorso i sommozzatori della polizia sono riusciti a recuperarne ben 24 chili.
A sentire la questura di Reggio Calabria, però, il tritolo dimenticato sulla nave affondata nello Jonio equivale a parecchie tonnellate: diversi collaboratori di giustizia hanno raccontato come la ‘ndrangheta si sia spesso servita dell’esplosivo della Laura C. Tritolo che in alcune occasioni era stato scambiato o venduto ad altre organizzazioni criminali. Anche per la strage di Capaci sarebbe stato utilizzato esplosivo recuperato nei fondali marini: secondo il pentito Gaspare Spatuzza, Cosa Nostra si sarebbe infatti servita del tritolo recuperato al largo di Palermo da Cosimo D’Amato, il pescatore di Porticello che aveva individuato una serie di ordigni inesplosi sganciati durante la seconda guerra mondiale. Fino ad oggi, però, gli inquirenti non hanno trovato analogie tra il tritolo utilizzato nelle stragi del 1992 e quello recuperato dalle stive della Laura C.
Questa volta, invece, Cosa Nostra aveva intenzione di utilizzare quell’esplosivo recuperato nei fondali calabresi per uccidere Di Matteo. Un piano di morte che, come raccontato da Il Fatto Quotidiano, era già stato studiato nei minimi dettagli. L’ipotesi privilegiata dai boss era quella che prevedeva l’utilizzo di un’autobomba, come per l’omicidio di Rocco Chinnici o per la strage di via d’Amelio. In un primo momento, il commando aveva pensato di mettere in scena l’attentato nei pressi del Palazzo di giustizia di Palermo: il rischio di fare strage di civili, però era troppo elevato, e alla fine i boss avevano iniziato a seguire gli spostamenti di Di Matteo, concentrandosi sulla zona in cui abita il pubblico ministero. Una versione confermata da una delle lettere anonime arrivate in procura, quella che nel febbraio del 2013 annuncia per la prima volta un attentato contro Di Matteo: l’estensore si presenta come un uomo d’onore di Alcamo, e racconta di aver pedinato per giorni la scorta del pm.
I magistrati della procura di Caltanissetta, che da settimane interrogano il collaboratore di giustizia, hanno chiesto a Galatolo se per caso non fosse lui l’autore dell’anonimo, ma il boss dell’Acquasanta ha negato: nel commando che doveva assassinare Di Matteo ci sarebbe stata quindi un’altra gola profonda. Galatolo, rampollo di una delle più importanti famiglie di Cosa Nostra, è stato arrestato nel giugno del 2014: poche settimane fa ha chiesto di parlare con il pm che indaga sulla Trattativa, per “togliersi un peso dalla coscienza”, raccontandogli il piano di morte ai suoi danni. “Dottore, i mandanti per lei sono gli stessi del dottore Borsellino” ha detto il neo pentito al pm, raccontando che Cosa Nostra aveva anche preparato un agguato a colpi di bazooka e kalashnikov da eseguire quando Di Matteo si trovava a Roma: il potenziamento della scorta del magistrato aveva però fatto sfumare quest’ipotesi. Tra i particolari svelati dal pentito c’è anche il racconto di un momento d’impasse nella preparazione dell’attentato: dopo aver trovato il tritolo, i boss contattarono Messina Denaro spiegando di non essere in grado di confezionare l’ordigno esplosivo ad alto potenziale. Dal boss di Castelvetrano però era arrivata una rassicurazione: “Non c’è problema” scrive Messina Denaro, dato che al momento opportuno, ai boss sarebbe stato messo a disposizione “un artificiere”. Da dove sarebbe arrivato e inviato da chi non è dato sapere.