“Grazie all’avvocato Scorza per la segnalazione, provvederemo a fare chiarezza sulla questione. Siamo sicuri che siano pochi casi isolati tra migliaia di sedi, ma prenderemo adeguati provvedimenti e invitiamo tutti i commercianti a rivolgersi alla sede Siae di appartenenza per le corrette informazioni.”

Ha risposto così Gaetano Blandini, Direttore Generale della Siae alla denuncia, partita da questo stesso blog, relativa alla “campagna di sensibilizzazione e minaccia” promossa dalla Siae per avvertire i commercianti di tutta Italia che a non pagare la Società italiana autori ed editori si rischierebbe anche la galera e questo a prescindere dalla musica che si riproduce nei propri locali e persino dalla circostanza che si riproduca qualsivoglia tipo di musica, sia essa amministrata o meno dalla Siae.

Basterebbe, infatti, stando agli avvisi lasciati in giro per l’Italia dagli ispettori e mandatari Siae così come alle comunicazioni spedite ai commercianti, disporre “di apparecchi sonori (radio, Tv, lettori Cd, pc, chiavette Usb, ecc.) in pubblici esercizi, negozi, magazzini, alberghi, strutture extra alberghiere, ecc.”.

Ma, a dispetto di quanto scritto dal Direttore Generale della Siae, è difficile credere che ci si trovi davanti a “pochi casi isolati”.

All’indomani della pubblicazione dell’articolo, infatti, sono decine le comunicazioni dello stesso genere – ovvero solleciti “minacciosi” di pagamento della Siae per evitare la galera – inviate da commercianti di tutta Italia da Bassano del Grappa – provincia di Vicenza – fino ad Ottaviano – provincia di Napoli – passando per la Lombardia e la Toscana, fino ad arrivare a Roma, a ridosso della Sede della Siae.

“In merito ai controlli effettuati da incaricati di questa agenzia, si fa presente che ai sensi della legge 22/04/1941 n. 633 e successive modifiche ed integrazioni, “Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio” la pubblica esecuzione effettuata mediante strumenti riproduttori e diffusori audio/video di qualsiasi tipo, senza la preventiva autorizzazione della Siae configura un’utilizzazione abusiva, prevista e punita dall’art. 171 lett. b della legge citata. Voglia pertanto Codesta gestione prendere contatto con questa agenzia (apertura al pubblico dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12) entro cinque giorni dal ricevimento della presente per richiedere la prescritta autorizzazione e per effettuare il pagamento conciliativo dei compensi dovuti, stabiliti in base agli accordi intervenuti tra la Siae e le associazioni nazionali di categoria”.

Questo, ad esempio, è la comunicazione sintetica ma incisiva trasmessa, in ciclostile, dall’Agenzia di Roma Parioli – nel cuore della Roma bene – a centinaia di esercizi commerciali della zona ed è – al pari di quelli già segnalati – una comunicazione nella quale si re-interpreta la legge ad uso e consumo della Siae, nel tentativo di convincere i negozianti, contrariamente al vero, che diffondere musica senza pagare la Siae sarebbe reato. Come se non si potesse scegliere di diffondere musica di pubblico dominio, musica non ricompresa nel repertorio amministrato dalla Siae o, addirittura, musica concessa in licenza direttamente dai titolari dei diritti o da altre collecting society senza violare alcun diritto d’autore né, a maggior ragione, rischiare la galera.

Difficile credere che alla Direzione Generale della Siae di Roma non sia mai arrivata notizia di certe pratiche, almeno commercialmente aggressive, poste in essere dalle proprie agenzie operanti nella Capitale e difficile, soprattutto, credere che certi “format” di comunicazione si siano diffusi su tutto il territorio nazionale all’insaputa degli uffici della Sede centrale.

Ci sono casi in cui, la “minaccia”, diventa persino divertente, come nel caso di Ottaviano, dove l’avviso lasciato dai rappresentanti della Siae recita addirittura: “Si invita il gestore dell’esercizio presso il quale è/sono installati apparecchi meccanici per il/i quale/i non risultano corrisposti i diritti d’autore previsti dalla legge… a voler regolarizzare la posizione entro dieci giorni dalla data della verifica odierna presso gli uffici della scrivente”.

La musica però non cambia e la richiesta minacciosa e perentoria resta sempre la stessa: bisogna pagare la Siae semplicemente perché presso un locale risulterebbero installati “apparecchi meccanici”, a prescindere da se e da che tipo di musica essi suonino.

Saranno anche “casi isolati” come ipotizza il Direttore Generale della Siae, Gaetano Blandini ma sono casi di inaudita gravità perché un ente pubblico economico non può – facendosi forte dell’autorità che lo Stato le riconosce – spingersi a “piegare” le leggi a proprio uso e consumo, rappresentando ad onesti commercianti rischi di conseguenze civili e penali che non esistono solo per far lievitare il proprio “raccolto”.

Usare musica – come usare qualsivoglia altro genere di opera dell’ingegno – commercialmente e senza l’autorizzazione, se necessaria, del titolare dei diritti d’autore, naturalmente è vietato e farlo costituisce reato ma non è vero che basta disporre di un lettore Cd, dvd, di una radio o di un televisore e non pagare la Siae per rischiare la galera.

“Si comunica che la legge 633/41 art. 171 prevede la denuncia penale alle autorità di Polizia Giudiziaria in caso di mancata richiesta di autorizzazione alla Siae e dei relativi pagamenti in caso di diffusione o esecuzione musicale in qualsiasi forma. Si invita pertanto a regolarizzare la posizione nei tempi indicati onde evitare seguiti penalmente rilevanti”.

Lo Stato – in nessuna delle sue articolazioni – può scrivere cose di questo genere come, invece, scrivono, tra le altre, le rappresentanze Siae di Borgo San Dalmazzo in provincia di Cuneo e quella di Lodi.

Guai, dunque, a non apprezzare l’impegno a far chiarezza assunto dalla Siae per bocca del suo Direttore Generale ma, naturalmente, le parole non bastano.

Ora c’è bisogno di una circolare con le quale la società presieduta da Gino Paoli informi la sua rete territoriale che certe comunicazioni devono essere immediatamente bandite e mai più utilizzate, che le Autorità vigilanti – Ministero dei beni e delle attività culturali in testa – vigilino per scongiurare il rischio che certi episodi non si verifichino più, che la Procura della Repubblica indaghi su quanto sin qui accaduto perché chiedere soldi ad un commerciante, paventandogli, in caso di mancato pagamento, il rischio della galera non sembra esattamente una pratica né lecita, né civile e che altrettanto faccia l’Autorità Antitrust perché le regole del mercato, certamente, non consentono che un soggetto di mercato, faccia business brandendo la “stella da sceriffo” e le “manette” ai suoi clienti o ai clienti dei propri clienti.

Nota di trasparenza: non ha molto a che vedere con il contenuto del post che, d’altra parte, è basato – purtroppo – su fatti obiettivi e documentati ma la trasparenza non è mai abbastanza e, quindi, è bene che chi legge il post sappia che assisto una società inglese concorrente della Siae.

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