“I prodotti cinesi e la crisi hanno strangolato la mia società, costringendomi a chiudere. Ho dovuto scegliere fra rimanere in Italia e provare a campare, per arrivare a un’improbabile pensione, oppure andare all’estero. Così in Uruguay mi sono ricostruito una vita più umana, con meno stress e tanto tempo per i miei figli”. È la storia di Marco Vanzini, 50 anni appena compiuti, di cui 25 passati a lavorare nell’azienda tessile creata in Lombardia insieme al padre e la sorella.

“Avevamo 12 dipendenti, facevamo tessuti elastici stampati per costumi da bagno ed eravamo forti anche nella stampa digitale. Ma nel 2007 non ce l’abbiamo più fatta. Il mercato si è ristretto troppo e non ci è rimasto che chiudere. Pensare che solo tre anni prima registravamo la nostra miglior annata”. Dopo aver perso gran parte del patrimonio personale, dato in garanzia negli ultimi due anni per continuare a lavorare e pagare per intero gli stipendi dei lavoratori, Marco si è reso conto che partire con una nuova attività in Italia tra investimenti, burocrazia e tasse non era alla sua portata.

“Non mi era rimasto molto e avevo tanta paura per il futuro della mia famiglia, perché non avevamo alcun paracadute”. Così, ha cercato lavoro nel settore di cui era esperto. Un’azienda italiana gli ha proposto di seguire la creazione e l’avvio di una fabbrica tessile a Shanghai. Un lavoro a termine, migliore comunque delle poche possibilità che poteva avere restando in Italia. “Mi sono trasferito lì per due anni, con mia moglie Marina ed i nostri due figli, Mattia e Andrés. È stata un’esperienza importante, perché ho capito le possibilità che c’erano fuori dall’Europa e sia io che la mia famiglia ci siamo abituati all’idea che il nostro futuro era altrove. In Cina è nato anche il nostro terzo figlio, Alessandro”.

Finito il lavoro in Asia, la vita di Marco era a un bivio. Poteva cercare e trovare altri lavori come quello che aveva appena concluso o fare una scelta più radicale, cambiando settore e vita. “Volevo una situazione più stabile, cambiare spesso Paese o città non mi sembrava la cosa migliore per i miei bambini. Così, d’accordo con mia moglie, abbiamo deciso di creare un’azienda agricola in Uruguay”. Marina è argentina e suo fratello German, che è agronomo, stava facendo già dei piccoli investimenti nel settore. “Ci siamo accodati, seguendo i suoi consigli. L’Uruguay ci è sembrato un posto vivibile. Si tratta di uno Stato relativamente stabile, piccolo, in cui ancora mancano molte cose ma c’è tanto spazio per chi ha voglia di realizzare le proprie idee”.

Per investire servono fondi. Così Marco e Marina hanno venduto il loro unico bene, un appartamento di 180 mq nel centro di Monza e nel 2009 e si sono trasferiti a Montevideo. “Viviamo nel cuore dello Stato, nella capitale, ma al contrario di tante metropoli qui la vita non è caotica, c’è persino poco traffico”.

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