Tre fratelli si riuniscono un mese dopo la morte del padre per leggere il testamento. Il notaio ha consegnato loro le ultime volontà del genitore: dovranno vedersi nella sua casa, mangiare insieme e soltanto dopo aver cenato potranno aprire la scatola contenente le indicazioni per l’eredità. Il padre era povero, ma tutti e tre sperano – come i loro coniugi – in un’inaspettata fortuna. La prima cena di Michele Santeramo, messo in scena al Teatro Quarticciolo di Roma il 6 e il 7 dicembre con la regia di Michele Sinisi, descrive questo incontro, insistendo sui rapporti tra i personaggi. Ma il pasto non verrà mai consumato, perché i sei (Mauro Barbiero, Silvia Benvenuto, Anna Dimaggio, Matias Endrek, Alberto Ierardi e Silvia Rubes) hanno commesso errori organizzativi e pratici: ci sono due secondi e manca il primo, il pollo è troppo salato, la panna del dolce è acida. Nella cena non realizzata si legge tutto il disagio di una famiglia, che Santeramo ritrae nei suoi contrasti, negli odi malcelati, nei segreti non confessati.
Il gioco delle coppie, come lo chiamano loro stessi, rivela tensioni e sofferenze, legate ai problemi che man mano emergono sulla scena: lo stupro subito da Flavia, la violenza che il fratello maggiore esercita sulla moglie, la depressione del figlio intermedio. I tre si scontrano ferocemente tra di loro, in una lotta cui partecipano anche i rispettivi coniugi. La regia sottolinea l’impossibilità di conciliazione, bloccando come in un fermo immagine le singole coppie, per coglierne l’isolamento e il vuoto interno. L’odio che attraversa la scena in tutte le direzioni si convoglia sul defunto, quando i sei scoprono che l’eredità consiste in dieci gratta e vinci per uno: «Vi lascio la fortuna», scrive il padre nella lettera che li accompagna.
Lo spettacolo procede con colpi di scena e dialoghi serrati, con un tono sempre in bilico tra comico e tragico. Sinisi esagera questa ambiguità che è tipica del teatro di Santeramo, per esempio congelando i momenti “clou”, con gli sguardi vuoti e sbarrati rivolti in platea. Lo spettatore ride, ma sente l’amaro di una situazione che sfiora continuamente la tragedia. La rappresentazione non perde mai leggerezza, anche quando i personaggi urlano, litigano e si vomitano addosso odio e rancore. Gli attori adottano perfettamente questo doppio livello di espressione, riuscendo ad essere ironici pur nel perfetto realismo della loro interpretazione.
Tra i clichés delle famiglie alle prese con l’eredità e la cattiveria del vecchio padre che odia i suoi figli, La prima cena dipinge l’asfissia dell’ambiente casalingo. La regia di Sinisi sottolinea questa percezione, disponendo i personaggi in uno spazio limitato, da cui non si deve uscire e nel quale faticano ad entrare notizie dall’esterno. La compressione dei movimenti degli attori rende visivamente quello che le parole urlate non possono dire.