Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti a Mirandola all'assemblea Cna aveva detto: "Richieste giuste perché chi fa uno sforzo deve essere aiutato". Il 70 per cento delle aziende non ha ancora visto i contributi pubblici per la ricostruzione
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi li ha definiti “eroi”, ma più che una medaglietta da appuntarsi sul petto per aver ricostruito la propria azienda buttata giù dal terremoto, gli imprenditori emiliani vorrebbero che lo Stato riconoscesse i loro sforzi. “La sospensione per la restituzione delle tasse arretrate concordata dopo i fenomeni sismici del 2012 scadrà il 30 giugno 2015, e le aziende non hanno i soldi per pagare le imposte arretrate – racconta Gianmarco Budri, titolare della Budri Srl di Mirandola, ditta specializzata nella produzione di intarsi di marmo, rasa al suolo a maggio di due anni fa dalle scosse – ciò che chiediamo al governo è molto semplice: un piano di ammortamento di almeno cinque anni a interessi zero. Perché nell’Emilia del terremoto molte realtà produttive sono ripartite con le loro sole forze, riuscendo a mantenere l’occupazione senza gravare sullo Stato, ma le casse sono vuote e i rimborsi pubblici stanziati per la ricostruzione molti di noi non li hanno ancora visti”.
Tra i mille problemi che ingolfano una ricostruzione che ancora procede al rallentatore, infatti, non c’è solo la burocrazia a complicare la vita di chi deve riedificare ciò che i fenomeni sismici hanno distrutto. Dopo i terremoti del 2012 lo Stato aveva siglato un accordo con la Cassa depositi e prestiti e l’Abi per concedere alle imprese una sospensione delle imposte di 14 mesi. Scaduti i termini, quindi, le aziende hanno ricominciato a pagare regolarmente i tributi. “Il problema – spiega Andrea Tosi, responsabile delle politiche economiche del Cna di Modena – è che entro il 30 giugno dovranno iniziare a restituire gli arretrati, cioè quei 14 mesi di tasse non versate, e dovranno farlo in soli due anni, versando due maxi rate all’anno”. Secondo i dati del Cna, però, circa il 70% delle imprese dell’area terremoto non ha ancora visto un solo euro dei contributi pubblici stanziati per la ricostruzione, né li riceverà entro giugno. “Quindi non solo le aziende non hanno soldi in tasca perché hanno dovuto reinvestire tutta la liquidità che avevano per ripartire con le proprie forze, ma oltre a dover pagare, come tutti, tasse superiori al 50% del loro fatturato, dovranno restituire in un anno altri 7 mesi di tributi arretrati, e così nel 2016”. Tra imposte sul reddito, contributi, Irap, Inps, Inail (per titolari e dipendenti), eccetera, si calcola che la pressione fiscale per le imprese terremotate, per i prossimi 2 anni, sarà pari al 120% del fatturato. “Non so come potranno pagare cifre simili – sottolinea Tosi – o lo Stato decide di concedere un altro anno di proroga e un piano di ammortamento quinquennale, invece che biennale, o sarà un disastro”
“Bisogna che a Roma capiscano che non possiamo farcela”, scuote il capo Budri. La sua azienda trova a Mirandola, a pochi metri dalla Bbg, che il 29 maggio di due anni fa crollò sotto i colpi del terremoto seppellendo 3 operai. Prima del sisma era un fabbricato di 4.300 metri quadrati che dava lavoro a 30 persone, poi il terremoto ha raso al suolo tutto e il titolare, per tentare di salvare la ditta, scelse di delocalizzare temporaneamente a Verona. Ad oggi i contributi dello Stato Budri non li ha ancora visti, e tuttavia in due anni ha ricostruito la sede di Mirandola. Ora però le casse sono vuote e il pensiero di dover pagare entro breve 14 mesi di tasse arretrate desta più di qualche preoccupazione.
Il 29 novembre scorso a Mirandola c’è stata l’assemblea della Confederazione nazionale dell’artigianato, ospite il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. “Bisogna dilatare nel tempo il pagamento delle imposte – aveva chiesto Mai a nome di tutte le imprese terremotate – molti hanno già utilizzato il denaro a loro disposizione per ricostruire, ma non hanno visto tornare indietro neanche un euro”. Un appello che Poletti aveva raccolto: “Credo che sia una posizione giusta perché credo che chi fa uno sforzo come questo deve essere aiutato”. “Ma alle parole, ora – dicono gli imprenditori – devono seguire i fatti”.
“Non pretendiamo di non pagare le tasse – sottolinea Paolo Preti, titolare della Meta di San Felice sul Panaro, il cui crollo, in seguito al terremoto, costò la vita a 3 operai – però qui siamo ancora in piena emergenza”. Preti il prossimo anno vorrebbe riportare la produzione nella cittadina modenese, dopo che nel 2012 si era trovato costretto a delocalizzare a Bomporto (Mo), salvo subire i danni dell’alluvione del gennaio 2014. “Lo Stato non mi ha ancora rimborsato i costi della ricostruzione e, oltre ai danni, ho diverse spese extra rimborso da sostenere. In più devo anticipare 1 milione di euro di Iva per ricostruire la fabbrica e ricomprare le macchine, quindi devo accendere un mutuo con la banca, perché quel denaro non ce l’ho. Come faccio, a giugno, a pagare 200 mila euro di tasse arretrate, e così per i successivi 2 anni?”. “Renzi ci ha definiti eroi? Io di mestiere faccio l’imprenditore e gli eroi li lascio ai fumetti – commenta Budri – invece di elargire complimenti il governo dovrebbe rispettare le imprese e i lavoratori. Altrimenti qui saltiamo tutti. E se le aziende chiudono l’Italia come fa?”.