BMW, Audi, Mercedes, Volvo, Porsche continuano a sfornare modelli ibridi plug-in. Una soluzione costosa, che però permette ai marchi premium di vendere veicoli super performanti e dalle emissioni bassissime. Anche grazie al vantaggio assegnato a tutte le auto a batteria dal ciclo di omologazione dei consumi
La febbre dell’ibrido “alla spina” si diffonde fra i costruttori di lusso. Dopo la V60, la Volvo mette in vendita una versione ibrida plug-in della sua nuova Suv XC90. La BMW ha annunciato che tutti i suoi modelli principali saranno presto offerti anche in versione ibrida plug-in, sfruttando l’esperienza accumulata nella produzione della supercar i8. La Mercedes ha già a listino una S500 Plug In Hybrid e l’Audi ha iniziato la commercializzazione dell’A3 Sportback e-tron, cui aggiungerà un modello plug-in ogni anno. La Porsche, dal canto suo, offre già tre modelli con questo tipo di motorizzazione: la supercar 918, la Panamera e la Cayenne S E-Hybrid.
Insomma, “ibrido plug-in” è una formula magica a cui bisogna abituarsi, perché diventerà sempre più comune anche per i non addetti ai lavori. Ibrido significa che a fianco del motore a benzina o diesel ce n’è un secondo elettrico, “plug-in” significa può ricaricare le batterie anche collegando un cavo alla presa di corrente: insomma, si tratta di auto che che offrono il meglio delle elettriche – permettono di andare a lavoro tutti i giorni con l’energia accumulata di notte – e delle auto tradizionali, perché sono comode da usare anche nei viaggi lunghi e durante le vacanze.
Le prime a proporre sul mercato le ibride plug-in, in realtà, sono stati brand come Toyota, Mistubishi, Chevrolet, Opel, ma presto la nuova tecnologia è stata adottata dai costruttori di lusso europei. Per due motivi principali: perché si tratta di tecnologie costose, che si giustificano più facilmente su auto che hanno già di partenza un listino elevato, e perché servono ai costruttori di auto grandi per abbassare le emissioni medie di CO2 della gamma, che nel 2020 non dovranno superare i 95 g/km. Secondo l’analista Ben Scott della IHS Automotive, la cui opionine è riportata da Automotive News Europe, “sono i regolamenti sulle emissioni a spingere questo tipo di propulsione. Se non ci fosse nessuna legge, i costruttori continuerebbero a lavorare sui loro tradizionali motori a combustione interna”.
Da un punto di vista tecnico, infatti, le ibride plug-in non sono l’uovo di Colombo. Sono veicoli molto complessi: hanno due motori, uno termico e uno elettrico, cui si aggiunge un pacco di batterie che, pur non essendo grande come quello delle elettriche pure, è comunque pesante e costoso. Però hanno il grande vantaggio di essere oggi l’unica soluzione che garantisca alte prestazioni e percorrenze da auto “tradizionale” con consumi irrisori. In parte i consumi sono davvero più contenuti, anche perché la spinta aggiuntiva del motore elettrico permette di utilizzare un motore termico più piccolo. Ma in parte perché il calcolo dei consumi in Europa avviene secondo il ciclo d’omologazione NEDC che prevede la partenza con batterie cariche: i primi chilometri risultano “a emissioni zero”, poi una volta scaricati gli accumulatori si percorrono ancora 25 km con il motore termico in funzione. La media viene fatta sulle emissioni totali.
Per esempio, la nuova Mercedes S500 – un macchinone che costa 116.000 euro e pesa più di 2 due tonnellate – è omologata per consumi di soli 2,8 litri/100 km ed emissioni di CO2 di 65 g/km. Meno di una Smart. Oppure prendiamo l’Audi A3 e-tron: con il 1.4 TFSI abbinato al motore elettrico riesce a erogare 204 CV, costa 39.900 euro (13.000 più della 1.4 TFSI 150 CV non ibrida) e pesa 1.615 kg (oltre 300 kg in più). Però, grazie ai 50 km di autonomia elettrica, l’Audi può dichiarare consumi di 1,5 litri/100 km, contro i 4,7 della versione a benzina normale. Con il nuovo e più realistico ciclo WLTP, che entrerà in vigore nel 2017, le regole d’omologazione dovrebbero finalmente cambiare anche per le plug-in.
Nei primi nove mesi dell’anno, secondo Jato Dynamics, erano in vendita in Europa 17 modelli plug-in, che sono stati venduti in 27.280 esemplari, tre volte quelli venduti nello stesso periodo del 2013. “Le ibride plug-in potrebbero rappresentare il 10 o il 20%, ma persino il 40% dei due milioni di auto che pianifichiamo di vendere ogni anno a partire dal 2020”, ha detto Rupert Stadler, il presidente dell’Audi, ad Automotive News Europe. La stessa testata riporta le previsioni IHS secondo le quali la produzione di plug-in ibridi raggiungerà 1,35 milioni di esemplari nel 2020 e 2,7 milioni nel 2025, ma rappresenterà comunque solo il 2% della produzione globale di automobili nel mondo.