Prima Silvio Berlusconi, poi Matteo Renzi. Cene eleganti, da mille euro a persona. Ci dicono: senza i rimborsi pubblici non c’è altro modo. Invece un altro modo c’è. Prima di illustrarlo, domanda: chi è che paga mille euro per partecipare a una cena? Solo chi ha interesse a investire nella politica. Chi la giudica una dazione obbligatoria per ottenere una relazione qualificata con il potere, essendo il leader del partito al governo (prima Berlusconi, poi Renzi) l’uomo in cui si concentrano scelte e valutazioni economicamente sensibili.
Era offensivo vedere ciò che si faceva con i rimborsi elettorali. Ma è ugualmente offensivo ritenere che i partiti possano sostenersi su elargizioni personali di soggetti che hanno interessi economici cospicui che tenteranno di far valere anche sulla scorta del cachet pagato al premier di turno.
Aboliti i finanziamenti a pioggia, si possono ridurre anche le cene. La nuova legge sul finanziamento pubblico, in vigore dal 2017, consente al contribuente di destinare il 4 per mille delle proprie imposte ai soggetti politici. Il principio che ispira questa normativa è condivisibile: il contributo è facoltativo e riserva un onere aggiuntivo al soggetto politico. Meritare quei soldi, fare in modo che il contribuente abbia fiducia nell’utilizzo che si farà dei propri denari.
La condizione che questa legge funzioni è che il contribuente sia messo in condizione di indicare l’identità del partito a cui va il proprio contributo e non temere che la sua dazione venga destinata in un fondo, sull’esempio dell’8 per mille, che redistribuisce proporzionalmente la somma ottenuta a ciascuno soggetto. Io devo avere il potere di vincolare la destinazione del mio contributo: lo voglio dare al partito A e negarlo al partito B. Conseguentemente una legge dovrebbe regolare l’attività interna ai partiti, indicare i coefficienti minimi di trasparenza (come ci si iscrive, che diritto dà all’iscritto la tessera, in quali casi e a quali condizioni cessa il suo diritto, come si selezionano le candidature etc), gli obblighi inderogabili circa la pubblicità della destinazione dei contributi pubblici, le sanzioni severe per le inadempienze o le omissioni.
Ma un partito avrà sempre maggiore bisogno di soldi se le condizioni per gareggiare si fanno sempre più onerose. Con le liste bloccate si uccide la democrazia, si destina al capo partito ogni potere. Ma le preferenze – singole o multiple – espongono a una ricerca ossessiva e obliqua di finanziamenti. E spesso fanno vincere il più ricco tra i candidati, non il più popolare o il più competente.
Se il Porcellum era una vergogna con le sue liste bloccate, la nuova legge elettorale allevia appena quel senso di ripulsa perché elabora un terribile mix: un po’ di candidati sicuri e un po’ di galoppatori all’arrembaggio, candidati che per necessità devono trovare finanziamenti privati e devono spingere sull’acceleratore delle richieste.
Anche qui, esiste una terza via: i collegi elettorali del Mattarellum riducono di molto le esigenze finanziarie e consentono un grado più elevato di controllo sul candidato di collegio. Abbiamo la prova che il Mattarellum è il migliore tra i sistemi possibili. Quali sono le ragioni inconfessabili che inducono a non restituire quella forma decente di selezione dei parlamentari?
Matteo Orfini, commissario del Pd romano, dovrebbe partire da qui: per rifondare il partito dovrebbe restituire all’impegno politico reputazione e rispetto.
Inizi dai soldi: come si ottengono e per quali scopi e prosegua con la nuova legge elettorale. La soluzione c’è.