Raiz e Fausto Mesolella si sono aggiudicati la targa "interprete", Loris Vescovo vince per il miglior "disco in dialetto", la "canzone dell'anno" è dei Virginiana Miller e il premio "opera prima" va a Filippo Graziani. Sul palco a ritirare il premio Tenco anche David Crosby
Sono state dunque consegnate al Teatro Ariston di Sanremo le Targhe Tenco 2014, il massimo riconoscimento per la canzone di qualità in Italia. La serata è consistita nell’esibizione dei vincitori delle cinque targhe, con David Crosby ospite d’eccezione e insignito del Premio Tenco. La Targa Tenco è un riconoscimento assegnato dal Club Tenco e che viene fuori dalle votazioni di una giuria composta da oltre duecento critici e giornalisti del settore; le sezioni sono cinque. Il Premio Tenco invece è deciso a insindacabile giudizio del direttivo del Club Tenco.
Ad aprire la serata sono stati Raiz e Fausto Mesolella. Come avviene praticamente da sempre, il sipario è scivolato via sulle note di Lontano lontano, eseguita questa volta con l’inconfondibile marchio di fabbrica dei due artisti campani, vincitori della Targa Tenco “interprete” per il disco DagoRed. L’album è un miscuglio di canzoni e ritmi lontanissimi tra loro, ma che trovano perfetto ruolo e cittadinanza nel virtuosismo della chitarra di Mesolella e nella voce di Raiz che si impasta con la terra. Alcune delle più belle canzoni italiane di tutti i tempi che si mischiano, si fondono con brani e iconografie impensabili: da Michael Jackson e George Harrison. C’è di tutto in DagoRed, ed è tutto perfettamente al proprio posto.
Poi è stata la volta di Loris Vescovo, cantautore friulano che col suo disco “Penisolâti” ha vinto la Targa Tenco “disco in dialetto”. Sarà che suonare qualunque cosa dopo Fausto Mesolella è come palleggiare di sinistro dopo Maradona, ma Vescovo è apparso meno convincente che nel disco. Al suono d’insieme mancava la precisione ineccepibile dell’esecuzione dell’album, la sua sontuosità delicata e colta, e il set è risultato non particolarmente coinvolgente. È certo però che la targa sia strameritata e d’ora in poi sarà bene tenere d’occhio questo artista. A questo punto è salita sul palco dell’Ariston la Storia. David Crosby, accompagnato dalla sola chitarra acustica, si è esibito in un set divertito, presentando fra le altre cose il suo ultimo disco “Croz”. Crosby ha ritirato il Premio Tenco e si è andato a unire ad altri nomi storici: da Leo Ferré a Tom Waits, passando per Silvio Rodriguez, Joni Mitchell, George Brassens, Leonard Cohen – solo per dirne alcuni –, oltre agli italiani Fabrizio De André, Francesco Guccini, Roberto Vecchioni, Paolo Conte e altri ancora.
Nella seconda parte della serata è salito per primo sul palco Filippo Graziani, che col suo album “Le cose belle” si è aggiudicato la Targa Tenco “opera prima”. Le canzoni di Graziani sono fresche e dinamiche, con testi mai scontati e un gusto d’autore per un rock deciso e puntuale, che si adatta perfettamente alla forma-canzone. Uno dei migliori set della serata. Dopo di lui i Virginiana Miller, che hanno ritirato la Targa Tenco “canzone dell’anno” per il brano Lettera di San Paolo agli operai. Ora: i Virginiana Miller nel loro genere fanno brani sicuramente validi, con una scrittura puntuale, ricercata ed elegante. Rimangono però forti dubbi sul fatto che Lettera di San Paolo agli operai sia la canzone più bella dell’anno: testo abbastanza scontato, dettato didascalico e metafore trite, abusate e sostanzialmente stagnanti. Per carità, è un brano che ci può stare, apprezzando quel genere, in un disco con una poetica precisa, ma il pezzo non rimane, non scuote (né nelle parole, né nella musica), non è qualcosa di memorabile. E una canzone che riceve una targa del genere, dalla principale istituzione per la musica di qualità in Italia, dovrebbe essere qualcosa di memorabile. Ma tant’è.
Arriviamo al clou, al finale, a Caparezza, Targa Tenco “disco dell’anno” per l’album “Museica”. Ovazione all’Ariston. La targa per il disco dell’anno a Caparezza rappresenta la definitiva certezza che oramai per il Premio Tenco “canzone d’autore” significa non più solo il cantautore con la chitarra e il La minore in canna, ma tutti i modi possibili di fare arte con la canzone. Il set di Caparezza è stato coinvolgente: Non me lo posso permettere, China Town, Cover, suonate una dopo l’altra con l’energia che contraddistingue Michele Salvemini da Molfetta, cantautore pugliese che si è aggiudicato il premio più importante in assoluto tra i premi assegnati alle canzoni necessarie, non scritte (almeno non solo, ché poi tutti c’hanno famiglia) per i diritti Siae o per le vendite, non scritte per l’intrattenimento melenso, riconoscibile e consolatorio.
Chiusura con Vieni a ballare in Puglia, storico manifesto sublime e terrificante, in cui c’è tutto Caparezza: la maschera sorniona, la vocina fastidiosa e pungente, ficcante, l’ironia acuminata e a tratti persino letteralmente credibile, con una scrittura e una performance impeccabili e una energia che fa andare a tempo. Persino dopo gli operari retorici e il “credo nel Partito Comunista” dei Virginiana Miller. Anche all’Ariston, quando l’Ariston non è il Festivàl, ma un teatro che rispetta la dignità dell’arte, con luci assenti in platea e massima attenzione alle canzoni.
Lunga vita a questo Premio Tenco. Lunga vita a Caparezza.