A un anno e mezzo dal crollo della fabbrica tessile, dove morirono 1.134 persone, il marchio italiano non ha seguito l'esempio di altre imprese secondo la portavoce della campagna "Abiti puliti". Ma l'azienda veneta replica: "Siamo stati uno dei primi brand ad intervenire a supporto delle vittime della terribile tragedia"
Benetton chiamata a risarcire le vittime del Rana Plaza. A un anno e mezzo dal crollo della fabbrica tessile in Bangladesh, dove morirono 1.134 persone, il marchio di moda non ha ancora effettuato alcun versamento nel fondo istituito per venire incontro alle famiglie di quanti hanno perso la vita o riportato gravi disabilità in seguito all’incidente. Eppure gli operai rimasti uccisi il 24 aprile 2013 producevano capi d’abbigliamento per una serie di aziende occidentali, tra le quali compare proprio la società trevigiana. Così la campagna “Abiti puliti”, in occasione della giornata mondiale dei diritti umani che ricorre il 10 dicembre, ha deciso di organizzare una serie di flash mob davanti a diversi punti vendita Benetton.
A Parigi, il 9 dicembre, gli attivisti si sono sdraiati per terra di fronte al negozio di Place de l’Opera. Lo striscione esposto dai manifestanti faceva il verso al famoso slogan della multinazionale: “United victims of Benetton”. Ma altri blitz sono stati annunciati in Svizzera, in Spagna, negli Stati Uniti e in Italia. In particolare, nel nostro Paese è previsto un flash mob a Torino l’11 dicembre.
La campagna “Abiti puliti” chiede al colosso dell’abbigliamento di versare 5 milioni di dollari nel Rana Plaza donors trust fund: si tratta di un apposito fondo per risarcire le vittime della strage, istituito nel gennaio 2014 dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), agenzia delle Nazioni Unite. La decisione di creare questo strumento è stata presa da un comitato partecipato da governo bengalese, sindacati, organizzazioni non governative e alcune aziende legate alle attività del Rana Plaza. I versamenti in questo fondo possono essere fatti da chiunque e sono su base volontaria. Quindi, è bene ricordarlo, Benetton non è obbligata a contribuire. D’altra parte, una serie di grandi marchi dell’abbigliamento, come H&M, Primark, Mango, Walmart, Auchan, hanno aperto il portafoglio. “Benetton è l’unico marchio internazionale innegabilmente legato al Rana Plaza a non aver versato neanche un centesimo”, si legge in un comunicato della campagna. Gli attivisti chiedono un contributo di 5 milioni di dollari secondo un calcolo basato sulle dimensioni e sui profitti dell’azienda trevigiana. Finora, il fondo ha raccolto circa 22 milioni di dollari su un totale di 40 milioni stimati come necessari per soddisfare le richieste di risarcimento.
Interpellata da ilfattoquotidiano.it, Benetton si è limitata a rispondere che il gruppo “è stato uno dei primi brand ad intervenire a supporto delle vittime della terribile tragedia”. In particolare, l’azienda fa sapere di avere subito attivato una collaborazione con l’ong Brac, “per prestare assistenza diretta ai feriti, inizialmente fornendo assistenza medica e poi con un progetto a lungo termine che prevede sostegno finanziario e corsi di formazione specifici per 280 vittime e le loro famiglie”. E ancora, Benetton ricorda di avere costituito, insieme ad aziende, ong e sindacati, il Bangladesh fire and building safety accord, intesa finalizzata alla prevenzione degli incendi e alla sicurezza degli edifici.
“Ogni tipo di aiuto è benvenuto – replica Deborah Lucchetti, portavoce di “Abiti puliti” – Noi non contestiamo le iniziative benefiche di Benetton. Ma un conto è la carità, un altro è il diritto delle vittime a un indennizzo. Il risarcimento è un diritto per tutti i lavoratori e, fino a quando non sarà pagato interamente, non ci sarà giustizia per i dipendenti del Rana Plaza. Siamo determinati a continuare la nostra mobilitazione fino a quando Benetton non pagherà quanto dovuto”.