Saranno elezioni a senso unico quelle che si terranno domenica 14 dicembre in Giappone. Tutte le previsioni danno infatti il partito liberal-democratico (Pld) di Shinzo Abe per vincente e con un numero di seggi oscillante tra i 300 e i 310, circa due terzi del totale (475). Una maggioranza schiacciante che permetterebbe al governo di far approvare agevolmente e in tempi rapidi anche riforme dall’iter piuttosto lungo, come quelle costituzionali.
Ma se da una parte Abe si prepara a essere il primo ministro giapponese più longevo del dopoguerra, le elezioni passeranno alla storia come le meno partecipate degli ultimi sessant’anni: già nel 2012 votò solo il 59 per cento degli aventi diritto e oggi secondo recenti sondaggi oltre la metà (63 per cento) degli elettori non avrebbe capito il motivo di queste elezioni anticipate.
Il voto di domenica sarà soprattutto un ‘referendum’ sulla Abenomics, la politica economica aggressiva portata avanti da Shinzo Abe e dalla Bank of Japan negli ultimi due anni. È proprio su questo terreno che il principale partito d’opposizione – il Partito democratico guidato da Banri Kaieda – cerca di sfidare il governo, proponendo di “rivitalizzare la classe media” indebolita dalle politiche del governo. Tuttavia, il partito si trova a gestire una base elettorale estremamente volatile, scarsa organizzazione interna e fondi di molto inferiori a quelli di Abe e co.
Dando ormai per scontata la vittoria del Pld, priorità assoluta del partito liberal-democratico sarà l’uscita dalla recessione in cui l’economia giapponese è entrata a luglio con una contrazione di oltre 1,5 punti percentuali, contrariamente alle aspettative di crescita intorno al 2 per cento.
Nodo principale è la ripartenza dei consumi bloccati dall’aumento dal 5 all’8 per cento della relativa imposta ad aprile di quest’anno. Questo, insieme a tagli sulle imposte societarie, è quanto chiedono da tempo gli esponenti della grande imprenditoria nipponica – che hanno già tratto diversi benefici dalla svalutazione dello yen e da una lieve ripresa dell’export – al primo ministro.
A fare da contraltare c’è la situazione delle finanze pubbliche, con un debito pubblico che ammonta a oltre 8 mila miliardi di dollari. Nello sciogliere le camere il 21 novembre scorso, Abe aveva perciò annunciato un nuovo aumento della tassa sui consumi al 10 per cento entro metà del 2017, non prima però di una nuova tornata di stimoli all’economia.
Altro argomento caldo è infatti l’approvvigionamento energetico del Paese-arcipelago, ora come ora una delle principali voci di spesa nel bilancio statale. La direzione scelta da Abe è sempre più quella della riattivazione a breve delle centrali nucleari del Paese dichiarate sicure dall’Autorità nazionale per la regolamentazione del nucleare. A inizio novembre di quest’anno, è arrivato il primo via libera alla riattivazione di un impianto nella provincia di Kagoshima, nel sud del Paese.
In questo senso, nel grande piano per la “sicurezza della vita” dei cittadini giapponesi, la promessa del primo ministro uscente è non solo quella di garantire la sicurezza nazionale, ma anche di investire maggiori risorse nella prevenzione dei disastri naturali per evitare una nuova catastrofe come quella del 2011.
Sul fronte costituzionale, nel mirino del governo Abe ci sono l’articolo 96, quello che regola appunto le riforme di questo tipo, e l’articolo 9, che sancisce la rinuncia eterna di Tokyo alla guerra. Dopo aver abrogato un divieto di esportazione di armi o componenti ad uso militare, aver creato un Consiglio nazionale di sicurezza e promosso la reinterpretazione dell’articolo 9 a luglio scorso per consentire al Giappone di contribuire alla autodifesa collettiva, il primo ministro conservatore sembra intenzionato a proseguire sulla strada del rafforzamento dell’apparato difensivo nazionale.
Il 10 dicembre è entrata in vigore la legge sui segreti specifici, provvedimento che dovrebbe ulteriormente arginare le minacce provenienti da fuori dei confini nazionali: essa riguarderà, ha rivelato l’agenzia di stampa Kyodo, oltre 450mila documenti di diversi ministeri e agenzie. Ma, accusano giornalisti, accademici e giuristi, potrebbe essere usata arbitrariamente per prevenire eventuali fughe di notizie “scomode”.
di Marco Zappa