La polizia aveva lanciato l'ultimatum per liberare le vie della metropoli asiatica, invase da oltre due mesi dalle proteste pro-democrazia. Uno dei leader degli studenti: "La lotta non è finita"
La polizia di Hong Kong ha arrestato alcuni manifestanti di Occupy Central rimasti sulla strada ad Admirality, nel centro della metropoli asiatica. La magistratura locale aveva lanciato l’ultimatum agli attivisti che ancora occupavano il luogo, vicino ai palazzi del governo, e aveva ordinato le operazioni di sgombero, che sono iniziate giovedì alle 10.30 del mattino (3.30 italiane). Un centinaio di manifestanti, tra cui studenti, avvocati e alcuni dirigenti del locale Partito Democratico come Albert Ho ed Emily Lau, si sono sdraiati per terra e sono stati fermati dagli agenti. Uno dei leader studenteschi, Alex Chow, ha parlato alla folla mentre la polizia si stava avvicinando, affermando che la lotta non è finita e che il movimento troverà altri modi per portare avanti la richiesta di elezioni libere nella città.
La manifestazione va avanti da settantaquattro giorni. Le proteste che hanno bloccato il centro di Hong Kong, tra i palazzi governativi e quelli finanziari, sono state organizzate affinché nelle elezioni previste per il 2017, il capo del governo locale e il Parlamento vengano votati col suffragio universale. Tuttora sono controllati da Pechino e devono essere necessariamente “amanti dello Stato cinese”. I manifestanti di Occupy Central avevano presidiato con migliaia di tende e transenne, oltre ad Admirality, anche le zone di Mong Kok e di Causeway Bay.
Le proteste, per cui nella notte si temeva un epilogo violento, sono state abbastanza pacifiche, nonostante non siano mancati, in questi mesi, i momenti di tensione tra la polizia e i manifestanti, che hanno fatto registrare feriti da entrambe le parti. Il 21 ottobre si era svolto nei locali dell’Accademia di Medicina di Aberdeen, lontano dai luoghi di Occupy, un incontro tra la delegazione degli studenti e quella del governo di Hong Kong, ma fu un caso isolato, vista l’intransigenza della Cina a rivedere la legge elettorale. Pechino temeva che le proteste si allargassero a macchia d’olio in altre città cinesi, ma col passare del tempo i manifestanti si sono ridotti da decine di migliaia a poche centinaia.