Società

Politiche antidroga, da 7 mesi governo non nomina il capo del Dipartimento

Il premier Renzi continua a tenere per sé la delega senza operare nemmeno a riguardo della pianificazione sul tema. L’Italia è uno dei pochi paesi dell’Ue a non avere un Piano di Azione Nazionale sulle droghe. L’ultimo, di portata triennale, è scaduto nel 2013

La maggioranza non ha un piano condiviso sulle tossicodipendenze e da sette mesi il governo Renzi non nomina il vertice del suo Dipartimento Politiche Antidroga (Dpa), dopo la destituzione di Giovanni Serpelloni, Capo storico dal 2008. Il senatore Carlo Giovanardi (Ncd) denuncia la situazione a ilfattoquotidiano.it: “Eravamo riconosciuti ovunque nel mondo come leader in termini di rieducazione e recupero grazie al nostro impianto normativo e al lavoro del Dott. Serpelloni nel Dpa. Renzi ha subìto pressioni per eliminarlo senza presentare alcuna alternativa alla sua gestione. Di fatto hanno destituito Serpelloni per chiudere il Dipartimento Politiche Antidroga”.

Il sospetto del senatore sembra legittimo se si considera che le polemiche interne alla maggioranza sul mancato rinnovo dell’incarico a Serpelloni, preteso dal Partito Democratico con parole di biasimo pesanti verso il dirigente, non hanno ancora portato ad una sintesi propositiva. Matteo Renzi continua a tenere per sé la delega sulle politiche antidroga senza operare a riguardo nemmeno la pianificazione sul tema richiesta dall’Unione Europea. L’Italia è infatti uno dei pochi paesi dell’Ue a non avere un Piano di Azione Nazionale sulle droghe. L’ultimo, di portata triennale, è scaduto nel 2013 e nel Pd è ancora poco chiaro chi si occupi della questione, al punto che la responsabile Welfare della segreteria nazionale, Micaela Campana, ha preferito non rispondere alle nostre domande.

“Non mi si dica che è un problema di legge perché c’è e ne sono stato io il relatore” insiste Giovanardi, proprio in riferimento all’unico intervento del Governo sul tema, ovvero quel decreto n.36/2014 imposto dalla Consulta a seguito della verificata incostituzionalità di una parte della cosiddetta ‘Fini – Giovanardi“. Proprio in quella occasione il Consiglio dei Ministri impose il nuovo testo unico di disciplina sugli stupefacenti, oggi legge 79/2014, che, oltre a recepire le indicazioni della Corte Costituzionale sulla differenza tra droghe leggere e pesanti (ponendo ogni tipo di cannabis nel primo gruppo), determinò un parziale demansionamento del Dipartimento Politiche Antidroga, tramite l’attribuzione del parere tecnico finale sulla pericolosità di ogni nuova sostanza psicoattiva rilevata dal suo Sistema di Allerta Precoce a Consiglio Superiore di Sanità e Istituto Superiore di Sanità.

“Ma restano comunque al DPA –  indica a ilfattoquotidiano.it lo stesso Serpelloni – tutti gli altri compiti attribuiti dai decreti istitutivi, quindi la pianificazione e gestione di tutte le politiche antidroga dello Stato centrale” che solo nel 2013 corrispondevano a “progetti per 6 milioni di euro”. In assenza di una direzione, il Dipartimento gestisce solo le attività già avviate (con scadenza 2015), “congelando” di fatto il budget 2014 destinato anche alle convenzioni coi network di ricerca universitaria e privata legati alla precedente gestione. “E questo – conclude Serpelloni  – sta causando anche la perdita del posto di lavoro di 25 ricercatori”.

Giovanardi legge nello stallo una “assurda forma di battaglia ideologica: bloccare ogni azione, per assecondare l’anti-proibizionismo di chi in tanti anni non ha mai portato soluzioni alternative su questo tema, mentre noi, come si legge nell’ultima Relazione al Parlamento abbiamo ottenuto risultati concreti come la riduzione del consumo di cocaina ed eroina”. Tra le critiche mosse alla gestione Serpelloni vi era proprio l’attendibilità di questi dati presentati nelle Relazioni al Parlamento, che nell’ultima pubblicazione cita tra le fonti informative alcune indagini recenti (2013-14) – quale quella dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri sui residui di sostanze presenti nelle acque reflue di 17 città italiane – accanto alla “discussa” rilevazione effettuata nel 2012 dal Consorzio Universitario di Economia Industriale e Manageriale (Cueim), che attribuì capacità di rappresentazione statistica del “consumo di sostanze psicotrope da parte degli italiani tra i 18 e 64 anni” alle risposte fornite da 18.898 cittadini (33,4% del campione interpellato e 0,03% della popolazione residente) che riconsegnarono compilato un questionario arrivatoli per posta. Vale la pena notare in tal senso che proprio quell’indagine risulta tra le più esaustive ed aggiornate in Europa sul fenomeno, se si considera che l’analoga ricerca realizzata in Germania è datata 2010 e raccolse circa 9 mila riscontri su una popolazione di 80 milioni di persone.

Serpelloni non ci sta a passare da incompetente: “Si sono dette tante falsità sul nostro lavoro e ho fatto muovere a proposito anche l’avvocatura di Stato; di fatto noi abbiamo raggiunto risultati importanti, il consumo di tutte le sostanze è in calo, tranne per la cannabis tra i giovani, ma soprattutto siamo passati dai mille decessi per overdose del 1999 ad appena 344 nel 2013. Abbiamo avviato network di ricerca con istituti nazionali e internazionali tra i più noti al mondo sul fenomeno e il presidente dell’Emcdda (ente europeo di monitoraggio sul fenomeno tossicodipendenze, ndr) Wolfgand Götz ha definito il nostro sistema di allerta precoce il migliore al mondo. Il problema – conclude Serpelloni – è che qui si vuole riproporre a livello nazionale quanto accade in molte Regioni, dove senza alcuna pianificazione scientifica o strumento di verifica dei risultati vengono assegnati fondi a progetti presentati da associazioni vicine alla politica”.

La partita è tutta interna al Pd dove il nodo cruciale per molti resta il fantasma della “legalizzazione”, quando di fatto il Piano d’Azione europeo 2013-16 non la cita mai tra le opzioni percorribili, indicando per contro altre operazioni irrinunciabili: monitoraggio e riduzione dei fattori di rischio, lotta al narcotraffico, diffusione e diversificazione dei sistemi di trattamento esistenti e, infine, “miglioramento della comprensione di tutti gli aspetti del fenomeno droga e dell’impatto degli interventi su di esso per rendere politiche e azioni più basate su un approccio scientifico”. Qualcuno nel settore dice: “Basterebbe copiare il Piano d’azione europeo”.