Al Sud, soprattutto in Sicilia, i canili sono sovraffollati e gli animali vengono trasferiti nelle città del Nord attraverso "staffettisti". Spesso, denunciano le associazioni, in condizioni di grande sofferenza per gli animali. I Comuni pagano da 100 a 400 euro per ogni animale
Cani spediti al nord o all’estero per liberare le strade dai randagi o svuotare canili sovraffollati. È la politica attuata da molti Comuni del Sud, che stringono sempre più spesso accordi con associazioni o privati per trasferire gli animali in zone in cui avrebbero maggiori possibilità di essere adottati. Una strategia che però sposta il problema anziché risolverlo e solleva interrogativi sia sulle condizioni di trasporto sia sulle reali destinazioni dei cani. Affidati a «staffette» che si incaricano del trasporto, alcuni animali trovano casa, altri finiscono in rifugi di diverse regioni o in località sconosciute.
Quella di «staffettista» è ormai diventata una professione. Una decina di soggetti percorrono la penisola in lungo e in largo ogni settimana, indicando su Facebook tappe, date e orari degli spostamenti previsti. I viaggi non sempre rispettano le disposizioni per il trasporto di animali e i camion a norma sono rari. I cani rimangono a bordo anche per più di 24 ore. Accade per tragitti internazionali, come quello tra la Sicilia e il nord della Francia, ma anche su distanze minori, nel caso di contrattempi che, secondo le testimonianze di vari adottanti, avvengono di frequente.
“Il tragitto da Lecce a Savona una volta è durato 30 ore” racconta Marina Catalano, una volontaria pugliese che si era affidata alla staffettista più nota e discussa, Chiara Notaristefano. Quest’ultima sul suo profilo Facebook ha giustificato il ritardo con lo scoppio di un pneumatico, ma Diego Musiani, che era con lei sul camion quel 2 novembre 2013, racconta particolari ben più drammatici. “All’altezza di Fiano Romano ci scoppiò una gomma e chiamammo l’Aci. In carrozzeria ne approfittammo per far scendere i cani (che fino a quel momento non avevano mangiato), ma alcuni rimasero sul camion. Notai tracce di candeggina in alcune ciotole per l’acqua. A Piacenza ci accorgemmo che Elisir, un bulldog inglese, era morto. Mi disse di portarlo in una clinica veterinaria di Monza, dove il cane fu congelato prima che l’adottante potesse chiedere l’autopsia.”
Chiara Notaristefano, ex agente immobiliare e fondatrice dell’associazione “Mamma Chiara Animal Onlus” con 4 sedi in Brianza e una a Scicli, in Sicilia, è al centro delle critiche di gruppi animalisti per la morte di un altro cane, Jango, durante la staffetta del 22 luglio. Caricato a Caltanissetta e diretto in Lombardia, il cane si ferisce in gabbia e perde sangue. Durante una tappa ad Agrigento per far salire altri cani, Notaristefano se ne accorge e lo porta da un veterinario. Per stabilire chi abbia deciso di farlo ripartire e quali siano state le cause del decesso è stata aperta un’inchiesta.
Quando a pagare sono le associazioni o gli adottanti, i prezzi dei viaggi vanno dai 30 euro per un cucciolo agli oltre 100 euro per un cane adulto di grossa taglia. E lo staffettista viene remunerato spesso in nero. “Io pagavo sempre in anticipo, inizialmente sul conto Postepay del marito di Chiara, poi sul conto corrente della sua associazione, con causale ‘donazione’”, precisa Marina Catalano.
Ma a volte quei viaggi sono già pagati in partenza dai comuni, disposti a versare somme ancora maggiori. Ragusa, Scicli, Modica, Ispica e Vittoria, per citare solo qualche esempio, pagano tra i 100 e i 400 euro per ogni cane spostato altrove. Il fenomeno si sta diffondendo particolarmente in Sicilia, dove il randagismo è ancora una piaga e dove i vigili non intervengono nemmeno, quando ricevono segnalazioni di animali vaganti, dato che nei canili non ci sono posti liberi.
Il comune di Ragusa, nella Determinazione dirigenziale n.151 del 29 gennaio 2014, stanzia 10.000 euro per il trasferimento di un minimo di 100 cani nel corso dell’anno a cura dell’associazione Aida e dichiara che questa attività “se portata avanti con costanza consentirà un notevole risparmio per le casse comunali.” Sulla carta sembra un affarone: 100 euro per disfarsi di un cane che, altrimenti, costerebbe al comune di Ragusa 2,90 + Iva al giorno in canile, quindi oltre 1000 euro l’anno, per tutti gli anni della sua vita.
Peccato che i cani che partono verso il nord non siano quelli più difficili da far adottare, ma soprattutto cuccioli. Oltretutto, dare loro la chance di essere adottati al nord toglie questa opportunità a cani che già si trovano nelle strutture piemontesi o emiliane e che resteranno più a lungo a carico dei rispettivi comuni.
A volte, oltre al trasporto, le amministrazioni del sud pagano un forfait per il mantenimento dei cani nelle strutture di destinazione, almeno per i primi mesi. E’ così che, nel dicembre 2013, il Comune di Campobasso ha versato la bellezza di 40.000 euro a Gabriele Tossani, all’epoca commissario dell’Enpa di Bologna, per liberarsi di 30 cani mandandoli al canile di San Prospero (Modena). Nello stesso periodo anche Siracusa ha decretato l’invio al San Prospero di “un primo contingente di 60 cani” al costo di 1600 euro + Iva per il trasporto oltre a 3 euro + Iva al giorno per il mantenimento di ciascuno. Ma l’operazione è stata bloccata dopo che le informazioni raccolte dalla consulente del comune Daniela Cassia hanno portato a giudicare non idonee le strutture di destinazione, site a Monticelli Pavese e Macerata Feltria.
Enpa Bologna ha stretto accordi con amministrazioni di mezza Italia, anche in collaborazione con Ernesto Zagni, titolare del San Prospero e gestore della struttura di Calderara di Reno (Bologna). Ma il record di convenzioni con i comuni lo detiene proprio Ernesto Zagni, citato di volta in volta nelle sue molteplici vesti di allevatore, gestore di canili e trasportatore, con le sigle «Animal Coop», «Allevamento Del Zagnis», «Transdog». Ispica gli ha affidato 50 cani a fronte di 4000 euro per il trasporto. Modica, a fine luglio, ha stanziato 20.000 euro per il mantenimento, senza pagare il viaggio. «Abbiamo preso 25 cani – spiega Zagni – 10 sono stati adottati, e abbiamo in programma altri viaggi.»
Palermo gli ha concesso un appalto, in collaborazione con Enpa, per 133.000 euro. “Non è per la gestione del canile” ci dice Zagni. “Abbiamo solo preso un centinaio di cani e li abbiamo portati al San Prospero. Mi sembra che una quarantina siano già stati adottati. Enpa si appoggia a noi – aggiunge – perché siamo gli unici con camion autorizzati per il trasporto di animali vivi. Per noi ormai è un’attività continuativa”.
Ma in Emilia c’è veramente posto per tutti questi animali? “Al San Prospero ci sono circa 200 cani. Riusciamo a farne adottare una decina al mese – ci dice l’attuale commissario straordinario di Enpa Bologna, Giorgio Marzadori, che esclude che gli accordi firmati da Gabriele Tossani abbiano creato qualche imbarazzo all’associazione. «Non c’è stato nessun problema. Ora del San Prospero e dei viaggi dei cani si occupa direttamente l’Enpa nazionale». Una decina di adozioni al mese mal si conciliano con le centinaia di cani che arrivano dal sud.
«Avendo seguito le vicende dei cani di una struttura sotto sequestro a Trani – riferisce Nadia Martignoni, segretaria nazionale dell’associazione animalista U.G.D.A. – e dovendone assicurare la tracciabilità dopo che Zagni e Tossani si erano offerti di portarne 16 in Emilia, ho saputo solo dopo molte ricerche e insistenze che erano finiti in una pensione di Monticelli Pavese e uno era morto là. Peccato che la destinazione indicata in partenza fosse Calderara». A Calderara di Reno, una fonte affidabile descrive una situazione di sovraffollamento che crea episodi di aggressività tra gli animali. In qualche occasione, i nuovi arrivati sarebbero rimasti per giorni nei trasportini, in attesa che si liberasse posto nei box.
Spedire cani a centinaia di chilometri significa non poter controllare direttamente come vengono trattati dopo l’adozione o nelle strutture che li accolgono. Tra gli animali ritrovati morti o in cattive condizioni a maggio durante il sequestro della pensione del cremonese ‘La casa di Luca’, meglio nota come ‘Scodinzolandia’, diversi provenivano dalla Sicilia. “Ne avevo mandati lì 25, pensando che fosse una buona struttura” ricorda Enza Licciardello, presidente dell’associazione “La casa dei randagi” di Augusta, nel siracusano. “Ora alcuni sono tornati da me in Sicilia, di altri non ho più avuto notizie.”
Dal 1991, la legge quadro 281 ha vietato la soppressione dei cani, ha imposto ai comuni di finanziare il mantenimento dei randagi nei canili e ha promosso la sterilizzazione delle femmine. Una politica che, se correttamente applicata, avrebbe portato in questi 23 anni all’estinzione dei meticci “indesiderati”, considerato che i cani non vivono più di 20 anni. Non è andata affatto così, soprattutto nelle regioni in cui la prospettiva delle sterilizzazioni è stata disattesa. I costi per i comuni sono esplosi (centinaia di migliaia di euro l’anno nelle città) e le mafie si sono interessate a questo business.
In Sicilia si è innescato un circolo vizioso: si rincorre costantemente l’emergenza (anche perché numerosi sono gli episodi di violenza e le soppressioni sommarie di animali da parte di criminali o di cittadini esasperati dal randagismo), quindi non si ha il tempo o la volontà di investire nelle sterilizzazioni, che darebbero frutti nel lungo periodo. Ma così il problema si perpetua. Accade che si spostino cucciolate anche senza assicurarsi che la madre sia stata sterilizzata prima della reimmissione sul territorio, lasciando fabbriche di cuccioli in circolazione. E, visti i business che le cucciolate generano, probabilmente non è un caso.
Al nord c’è praticamente il problema opposto. La popolazione canina è stata stabilizzata, i rifugi sono ancora pieni di cani anziani, ma i cuccioli sono una rarità e da qualche anno i box che pian piano si svuotano vengono riempiti con il salvataggio di cani spagnoli, rumeni o di altri paesi dove gli animali in soprannumero vengono soppressi. Oppure si cercano cani al sud.
Ma i comuni italiani pagano la retta solo per gli animali ritrovati sul loro territorio. Ecco quindi perché alcuni rifugi del nord si procurerebbero cagnolini da altre regioni per poi inscenarne il ritrovamento in zona, come ci hanno detto a mezza voce vari animalisti. Il trucco funziona solo se gli animali sono sprovvisti di microchip, in violazione delle norme che prevedono che solo cani identificati e vaccinati possano viaggiare. Una sorte peggiore potrebbe toccare ai randagi diretti all’estero, dove non è vietato cederli ai laboratori per la vivisezione.
di Eri Garuti