Società

Crocifisso in aula, laicità vado cercando

Sei un docente di filosofia in un liceo, sei omosessuale, ti senti offeso dalle dichiarazioni di un cardinale che definisce ‘immaginari’ alcuni diritti che vengono reclamati dalle comunità Lgbt. In Italia stiamo assistendo, con le manifestazioni sempre più frequenti delle sentinelle in piedi, ad una presa di posizione militante degli oltranzisti cattolici contro l’allargamento del concetto di famiglia. Decidi di protestare, in modo nonviolento, per le affermazioni dell’alto prelato, togliendo il crocefisso dall’aula della scuola dove insegni, durante le tue ore. “Non intendo più insegnare sotto un simbolo che rappresenta un’istituzione che continua a delegittimare la mia persona e quindi il mio stesso ruolo educativo”, dichiari.

Il gesto non passa inosservato: ti vale una censura da parte della scuola, motivata così: “In considerazione del curriculum del docente e del comportamento collaborativo dimostrato dallo stesso, che non ha più reiterato il gesto e si è astenuto dal rilasciare dichiarazioni agli organi di stampa, l’Ufficio per i procedimenti disciplinari ha deciso di irrorare al docente la sola sanzione della censura – che consiste in una dichiarazione di biasimo scritta e motivata, che viene inflitta per mancanze non gravi riguardanti i doveri inerenti alla funzione docente o i doveri di ufficio – anziché la sospensione temporanea dal servizio”. Che magnanima decisione, viene da dire.

 

L’Uaar, (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti) che ha prestato assistenza e appoggio al docente, comunica l’avvenuta censura e chiosa così, con le parole del presidente Carcano: “Ci viene quasi da auspicare una legge che imponga il crocifisso, per vedere come la concilierebbero con la laicità del nostro Stato”. Succede oggi, in un paese dell’Europa, dove la laicità è evidentemente in crisi, se il simbolo della croce è inamovibile (non insultabile, calpestabile, derisibile) dalle aule, anche solo per alcune ore.

Davide Zotti (così si chiama il docente) ha offerto alla sua scolaresca una prova interessante di filosofia attiva, aprendo il conflitto (in modo civile) tra la convenzione che dà per scontata la presenza di un simbolo religioso nello spazio pubblico e la critica individuale a ciò che l’apparato politico di questa religione ritiene diritti validi, discriminandone altri, sentenziando a nome di una presunta maggioranza.

Attenzione: qui non è in gioco il credo personale o la libertà di fede che chiunque professa, o non professa. Il gesto di Zotti ha evidenziato concretamente la prevalenza della visione politica della religione, con l’imposizione di un simbolo nello spazio pubblico (che è altro dalla fede). Ciò che è successo, con la ‘censura’ comminata al docente, indica che non c’è libertà di critica civile in un paese che, tuttavia, si definisce laico.

Nelle scuole pubbliche, in Francia, non sono ammessi dal 2004 i simboli religiosi manifesti, come la croce, la chippa, il velo e il turbante: il concetto di base che ha mosso questa decisione è ben chiarito nel passaggio del discorso del presidente dell’Assemblea, Jean-Louis Debre: “Si tratta di ribadire con chiarezza che la scuola pubblica è un luogo dove si va per imparare e non per fare attività militante o proselitismo”. Una chiara presa di distanza dalla visione multiculturalista, che invece in paesi come l’Inghilterra ha dato spazio a gruppi islamisti di chiedere l’affiancamento al diritto secolare della sharia, per questioni ovviamente legate a controversie famigliari, nelle quali quasi sempre sono in minoranza i diritti e l’autodeterminazione delle donne. Di recente mi è stato segnalato che in due occasioni diverse, (l’inaugurazione di un consultorio e di una piscina), tra le orazioni ‘istituzionali’ c’era quella di un alto prelato, che ha benedetto la struttura. Fatto salvo il diritto di chiunque di presenziare, perché mai dei luoghi pubblici devono essere benedetti, se poi ad usarli sono persone di ogni pensiero, religioso o laico? La censura a Zotti non è una buona notizia: sarebbe importante una presa di distanza rispetto al provvedimento, non solo dei laici, ma da parte dei cattolici aperti e dialoganti con le diversità. E’ in gioco la prevalenza della visione fondamentalista su quella laica, e la storia umana ci ha bene indicato dove ci porta l’integralismo religioso.