Secondo gli analisti della banca d'affari Usa il più grande pericolo per Atene non sono le urne, ma l'interruzione dei finanziamenti alle banche locali da parte della Bce. Con le relative conseguenze
Atene come Cipro? Il rischio non è così peregrino secondo Goldman Sachs che nel suo ultimo studio sulla situazione greca sostiene che il rischio ultimo non sia tanto quello delle elezioni anticipate in sé, quanto quello di un corto circuito nei tormentati rapporti con i creditori internazionali con la conseguenza estrema dell’interruzione dei flussi di denaro dalla Bce alle banche locali, che sarebbero così costrette a chiudere improvvisamente per “ferie” impedendo ai correntisti di accedere ai loro soldi come accaduto nella primavera del 2013 sull’isola.
In sostanza secondo gli analisti della banca d’affari americana il più grande pericolo per la Grecia, che il prossimo anno potrebbe aver bisogno di entrate extra comprese tra 6 e 15 miliardi di euro per far fronte ai propri impegni, non sono le urne (ipotesi concreta se la terza fumata sul Presidente della Repubblica fosse ancora nera) ma l’interruzione dei finanziamenti alle banche locali da parte della Bce e degli altri creditori internazionali. Una situazione che riporta la memoria indietro al marzo del 2013, quando i bancomat ciprioti rimasero per giorni senza contante, per poi erogare solo 200 euro per ogni cliente. La questione venne chiusa con l’intervento della Troika che, con un memorandum ad hoc, fornì un prestito alla bad bank (la Laikì bank) ma a condizione del prelievo forzoso da tutti i conti e con lo spettacolare arrivo del denaro in un volo cargo proveniente dalla Germania.
Oggi la Grecia che pure, riconosce Goldman Sachs, sta registrando progressi importanti sul fronte macroeconomico, è in attesa della tranche di dicembre del suo prestito internazionale, ma da Bruxelles per procedere chiedono altre diciannove misure, tra nuovi tagli a stipendi, pensioni e indennità oltre a ulteriori riforme (pensioni, salute, welfare), con la tensione sociale che torna a farsi sentire ad Atene dove nei giorni scorsi tre sconosciuti, appartenenti secondo gli investigatori al Gruppo Combattente Popolare, hanno attaccato l’ambasciata israeliana con 52 colpi di kalashnikov. Nessun ferito e, tra le tante ipotesi, anche il dubbio che sia tornata la destabilizzazione dolosa.
Ma il tempo stringe e aumentano i rimpianti su cosa si sarebbe potuto fare nel 2010, così come sostenuto dall’ex direttore del dipartimento Ue del Fondo Monetario Internazionale, Susan Sandler che dalle colonne del quotidiano austriaco Kourir certifica: “Il Fmi avrebbe dovuto insistere immediatamente, a partire dall’estate del 2010, per negoziare con tutti i creditori una cancellazione del debito”. E invece il Fmi ha “ceduto nel 2010 a pressioni politiche ed è stato trascinato in un programma di assistenza, abbandonando le regole, quando tutti sapevano che le previsioni per la Grecia sono state troppo ottimistiche”. Per questo motivo oggi si chiede quale sia il peso portato dalle grandi banche e quale invece quello a carico dei contribuenti. E conclude: “E’ del tutto evidente che questi prestiti non saranno rimborsati per intero“. Un quadro d’insieme a cui si somma il pessimismo di Moody’s sulla situazione greca. Ritenendo che la ricerca dei 25 deputati che mancano alla maggioranza per raggiungere la soglia minima per il voto presidenziale, sarà un “difficile esercizio”, l’agenzia di rating valuta negativamente l’impatto delle eventuali elezioni anticipate sul merito di credito del Paese dal momento che metterebbero a rischio i creditori, ridurrebbero ulteriormente la fiducia degli investitori e aumenterebbero le difficoltà di Atene nel reperire liquidità.