The word on the street is: l‘85% degli attori, in Gran Bretagna, è disoccupato. A dire il vero, quello era il dato – costante – del 2004. Ora oscilla fra l’87% e il 90%. Di bene in meglio. E te lo ricordano ripetutamente, at drama school, sperando di prepararti, in qualche modo, alla desolazione del mondo reale. Ma, ovviamente, non ci pensi. Quel dato non ti riguarda, perché tu farai parte del trionfante 15% (o 10%… o 5%). Non hai dubbi. Il mestiere dell’attore è incerto e inaffidabile, ma per tutti gli altri…non per te! You’ve got it all. E ci credi fino anche a negare l’evidenza…Però, intanto, rent e weekly travelcard le devi pagare. Quindi, invece di tagliarti i capelli, riparti alla scoperta di Chiswick High Rd.

Londra, il principe Carlo e Camilla nella sede di Sky

Job N.2: shop assistant in un negozio di arredamenti, specializzato in mobili in ‘solido pino’. Non ‘solito’. ‘Solido’.

Questa volta il proprietario è di Hong Kong, assomiglia al mio insegnante delle elementari e si chiama Mr.T. I know. Nulla a che vedere, però, con entrambi. Nel bene e nel male. Ma soprattutto nel bene.

Lo spelling, in realtà, è Mr. Tee: ci tiene a precisarlo, insieme al fatto che non ha tempo per gli incapaci e che, con lui, o si lavora senza lamentarsi, o si sta a casa. Fair enough. A patto che ci sia il rispetto reciproco, penso. Ma non lo dico, perché ho il sospetto che il concetto di ‘lamentela’ abbia, per Mr. Tee, uno spettro discretamente ampio e anche perché mi ha già assegnato come trainee all’assistant manager, Lily.

Lily è la prima persona di Myanmar che io abbia mai incontrato. To be honest, non so nemmeno cosa o dove sia Myanmar. Così Lily me lo spiega, mentre mi mostra i vari mobili in offerta e il modo in cui dovrò prendere le misurazioni, ad ogni richiesta dei clienti. Siccome, questa volta, il lavoro richiede un maggiore rapporto col pubblico, mi sento leggermente più a mio agio e ciò, sommato al fatto che Lily è fondamentalmente un angelo, irrobustisce la mia self-confidence. E quasi mi diverto, dato che il lavoro in sé mi è relativamente indifferente – ‘It’s solid pine. Yes, solid pine. It comes in pine and… Well, pine. I think you should go for the pine’ –  ma ho l’occasione di imparare i rudimenti di una lingua, che un mese prima non sapevo nemmeno esistesse. Lily diventa, in breve, il mio nuovo idolo e, perciò, ho grande difficoltà a sopportare il modo in cui è trattata da Mr. Tee, il quale, invece, si rivela più che civile, nei miei confronti. La ragione non mi è chiara. Inizio, allora, ad osservare attentamente la sua dinamica con gli altri impiegati: i due delivery men algerini e le altre due commesse inglesi, ma di famiglia, rispettivamente, marocchina e giapponese. Noto che, tra tutti, sembro davvero essere quello trattato con maggiore considerazione, nonostante il mio contributo, per quanto riguarda la gestione del negozio, al momento sia pressoché nullo. Finalmente, grazie ad un paio di commenti da vero gentleman, the penny drops: nell’universo pieno di amore ed equità di Mr. Tee, il combo vincente, che mi distingue e mi permette di avere “una marcia in più rispetto agli altri”, è l’essere uomo – certo – ma soprattutto europeo. Come direbbero gli inglesi: I’m not impressed. Decido, immediatamente, una protesta indiretta, alzando il volume della mia strafottenza, ogni volta che Mr. Tee mi interpella o richiede una particolare mansione. E ne parlo con Lily. Affermo, con grande fervore, che il modo in cui è trattata è ingiusto e del tutto inaccettabile. Lei concorda. Bene, allora perché non reagisce? Perché non si ribella, affrontando il problema a testa alta? Il mio tono è quasi di disappunto e delusione. E Lily, oltre alle misurazioni, ai mobili e al dialetto di Yangon, mi deve spiegare pure questo: ‘Io sono pagata poco più del salario minimo – al tempo intorno alle 4.85 sterline l’ora, adesso è 6.50 – e, per sopravvivere e aiutare la mia famiglia a Myanmar, devo lavorare un minimo di quaranta ore a settimana. Purtroppo, il mio permesso di lavoro ne prevede un massimo di venti. Lascio a te trarre le conclusioni’.

Mentre raccolgo la faccia da terra, rimango in silenzio e penso. Penso alla mia di famiglia, in Italia, che mi ha mantenuto fino a pochi mesi prima e che anche adesso è sempre pronta ad aiutarmi, in qualsiasi momento e in qualsiasi situazione. Penso a quante volte, ogni giorno, mi lamenti dell’“ingiustizia” di non poter fare il mestiere che amo e per il quale mi sono trasferito qua. Penso al modo in cui ho lasciato il mio primo lavoro, mandando tutti a quel paese, fiero dei miei principi, orgoglioso della mia dignità. E mi vomito un po’ in bocca. Chiedo scusa a Lily e mi congedo. Lei mi sorride. E, oltre alle misurazioni, ai mobili e al dialetto di Yangon, mi mostra anche quale sia la vera dignità.

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