Secondo il giudice per le indagini preliminari di Roma esistono "involgenti responsabilità, quantomeno sotto il profilo contabile, di altri soggetti e centri di poteri istituzionali, allo stato non attinti dalla presente indagine"
È partita con un’ispezione allo Stato Maggiore della Marina Militare, il 30 gennaio scorso, l’inchiesta che ha portato a sei arresti per il trasporto fantasma di milioni di litri di carburante da parte di una nave naufragata. Ed è contro”i centri di poteri istituzionali” che il giudice per le indagini preliminari di Roma, Alessandro Arturi, punta il dito. Perché si tratta di una truffa così grande e incredibile da aver suscitato nello stesso giudice “diversi interrogativi e un diffuso atteggiamento di prudenza e quasi iniziale scetticismo nella valutazione degli elementi”.
Innanzitutto perché nel porto di Augusta arrivavano navi per rifornimenti reali, la Jameela Star” e Pechora Star”, capaci di rifornire almeno dodici navi approdate maggio e dicembre 2013, e poi perché i controlli erano di fatto solo su carta: “Non può neanche sottacersi che – argomenta il gip – quel sistema meramente formale e convenzionale di accertamento abbia quantomeno agevolato” gli arrestati. Il giudice parla di “inammissibile superficialità e sciatteria (nella migliore delle ipotesi) di un meccanismo generale di regolamentazione del rapporto tra l’amministrazione militare e la ditta fornitrice… contrassegnato da sorprendenti accenti di approssimazione e indeterminatezza nella quantificazione del fabbisogno energetico…”.
Il gip infatti guarda oltre la banda di truffatori e indica alla Procura di Roma ulteriori approfondimenti: “… Si intuisce un sistema perlomeno disinvolto di gestione e amministrazione di denaro pubblico, bisognevole di un più accurato sondaggio investigativo” scrive nell’ordinanza di custodia cautelare. Inoltre perché il gip accoglie in toto l’ipotesi della Procura di una “sostanziale sovrapponibilità della struttura organizzativa… con la Pubblica amministrazione” rispetto agli arrestati, una sovrapponibilità che però potrebbe essere più ampia. Del resto due degli arresti, Massimo Perazza e Andrea D’Aloja che avevano il ruolo di broker rispetto alla ditta fornitrice, agivano su un doppio binario: rifornimenti reali con la”Jameela Star” e “Pechora Star” e quelli fantasma con la nave cisterna Victory I, naufragata da tempo.
“L’interconnessione fra i rispettivi ruoli dei rappresentanti delle società private e degli ufficiali della Marina (tre sono gli arrestati, ndr)” non solo ha convinto il gip ad accogliere l’ipotesi dell’associazione, ma secondo il gip le indagini “lasciano intravedere una realtà assai più articolata e complessa perché appare chiaro che la concreta praticabilità del programma criminale ideato… sottende l’ineludibile realizzazione di passaggi preliminari involgenti responsabilità, quantomeno sotto il profilo contabile, di altri soggetti e centri di poteri istituzionali, allo stato non attinti dalla presente indagine”.
Le richieste di carburante erano “esorbitanti” rispetto al “reale fabbisogno del porto”. Perché nessuno se ne è reso conto? E perché il contratto tra ditta e la Marina era “estramamente vago”: 20 milioni di euro suscettibili di un incremento opzionale di altri 8? Un contratto che Lars P. Bohn, titolare dell’appalto di rifornimento aveva con l’Amministrazione della Difesa.”…Pare oggettivo che proprio su un terreno così indistinto e nebuloso abbiano avuto modo di innestarsi le condotte truffaldine… è lecito domandarsi se tali vaghezza e flessibilità di contenuti siano il precipitato di una impostazione negligente e approssimativa, oppure la risultante del deliberato intento di costituire i presupposti giuridici ed economici delle successive fasi di un piano criminoso, evidentemente riconducibile a un sodalizio ben più ampio e stratificato di quello sinora emerso”.
Il gip scrive che nella Capitale hanno “sede gli uffici ministeriali che hanno emanato gli ordini di fornitura e i titoli di pagamento delle fatture emesse dalla O.W. Supply (di Lars P. Bohn, ndr), sulla scorta della falsa documentazione” e per quanto riguarda gli arrestati sottolinea una “caratura criminale di notevole spessore”. L’inchiesta, che nasce nell’alveo dell’indagine su Mafia Capitale, ha portato alla luce un sodalizio che con “spregiudicatezza” ha “predisposto, condiviso e applicato reiteratamente un meccanismo truffaldino, estremamente insidioso, assurto a modulo esecutivo e destinato a essere applicato indefinitamente”. Per il gip a carico degli indagati c’è “la rilevata assenza di pur minimali segni di dissociazione e resipiscenza da un piano criminale che ha già comportato un danno economico rilevantissimo per le finanze pubbliche (in un tempo di forti restrizioni alla spesa e imposizione di gravosi sacrifici nella collettività)”.
“La Marina Militare è al fianco della magistratura per debellare il fenomeno della corruzione a salvaguardia del personale che quotidianamente lavora con spirito di servizio e senso dello Stato – si legge in una nota -. La trasparenza amministrativa e l’integerrimo comportamento del proprio personale rimangono punti fermi nell’ambito del quale gli organi tecnici e di sorveglianza della forza armata continuano ad esercitare la massima attenzione in collaborazione con le forze dell’ordine e l’autorità giudiziaria, sia ordinaria che militare”.