Dopo aver ascoltato, tra sbigottimento e disperazione, la lista dei big che parteciperanno al prossimo Festival di Sanremo, forse è il momento di aprire un dibattito serio sul futuro dell’evento musicale più criticato (e più visto) d’Italia.
Carlo Conti ha fatto il suo, e francamente non ci si aspettava chissà quale rivoluzione musicale da uno che in tv ha sempre campato di vintage, revival, ospitate di Gloria Gaynor e imitazioni di Fiordaliso e Gianni Nazzaro. Ma la sua conduzione casca davvero a fagiolo e può essere lo spunto per una interessante analisi sul senso di Sanremo nel panorama televisivo e musicale italiano.
Se ancora ne ha uno, beninteso, visto che secondo me è offensivo, oltre che follemente anacronistico, stare attaccati alla tv per cinque serate di fila a criticare ferocemente uno spettacolo televisivamente spesso inguardabile (con tempi da messa della notte di Pasqua dei gruppi neocatecumenali) e musicalmente vecchio persino per RaiUno.
Ora, dice che Sanremo è Sanremo, che tocca farlo per il pubblico della Rai, armato di Tena Lady e bombola d’ossigeno, che ci tiene e vuole vederlo. In pratica, a quanto pare, fanno il Festival di Sanremo per mia nonna.
Peccato, però, che la mia adorabile nonnina ottantatreenne vada a dormire attorno alle 21, quando in tv ancora c’è l’esaltato e ansiogeno Insinna che scavicchia i pacchi, e che quindi della kermesse sanremese non guarda nemmeno il promo. Mia nonna, e sono sicuro anche le vostre, di Sanremo se ne fotte beatamente. Sì, ok, lo guardava quaranta, cinquanta e sessant’anni fa, perché dal palco del Casinò venivano fuori le canzoni che avrebbero dominato le classifiche e che avrebbe fischiettato per l’anno a venire. Ma oggi, e parlo proprio a livello fisiologico, la mia nonna non ce la fa proprio fisicamente né a star sveglia fino all’una di notte, tantomeno a fischiettare (che i polmoni son quelli che sono, ormai).
Per noi ancora abili e arruolabili, invece, Sanremo ha ancora senso? Nossignore, signor Carlo Conti, e cerco di spiegarti perché. XFactor, Amici di Maria De Filippi, persino l’inguardabile The Voice portano la musica italiana (bella o brutta che sia) nelle nostre case dodici mesi l’anno, con i giovani concorrenti dei talent e con i supermegaospiti attratti dai cachet folli e dal fatto che alcuni di questi programmi ormai sono di tendenza.
Dice ancora: ma Sanremo fa 9 milioni di spettatori. E sti cazzi, dovremmo rispondere tutto in coro. Primo, perché l’Auditel lascia il tempo che trova. Lo sappiamo tutti, anche se facciamo finta di nulla. Secondo, perché sui social si parla ossessivamente di XFactor anche se fa un milione di spettatori a settimana (e due per la finale) e di Amici di Maria De Filippi. E i numeri della social tv, anche se l’ancien regime vuole farci credere il contrario, ormai contano decisamente di più.
Sanremo, dunque, ultimo baluardo di cosa? Non lo so neanche io, e non mi va nemmeno di analizzare i diversi pubblici televisivi, la dicotomia tra generaliste e tematiche, free e pay. Frega niente, al telespettatore medio, di queste argomentazioni da onanisti del piccolo schermo. Quello che dovrebbe fregare a tutti, invece, è che quello che era l’evento per antonomasia del panorama nazionalpopolare italiano, ormai è un vecchio carrozzone dalle ruote cigolanti, che ammassa alla rinfusa qualche personaggio da talent (perché i personaggi veri ormai nascono lì), qualche residuato bellico di cui anche la famiglia aveva da tempo perso le tracce, qualche raccomandato dai vertici di viale Mazzini o chissà da quale politico di turno. Il risultato, musicale e televisivo, è un pianto che non ha mai fine. E persino io, che Sanremo lo guardo, lo divoro da trent’anni, quest’anno comincio a non farcela più. Perché non ha più senso, perché preferisco XFactor con le sue scelte musicali più contemporanee, perché i pochi big veri della musica italiana preferirebbero andare al Festival di Durazzo su Agon Channel, piuttosto che salire sul palco dell’Ariston. E soprattutto perché mia nonna, a febbraio, alle 21.30 ha già mezz’ora di sonno. Beata lei.