Questione di punti di vista. Alla domanda “ma col car sharing si guadagna?”, i leader delle case automobilistiche rispondono quasi all’unisono di sì. Al Salone di Parigi, quando ancora era responsabile dello sviluppo di BMW Group, Herbert Diess assicurava a Ilfattoquotidianoit che “per noi il car sharing è profittevole”. Dieter Zetsche, numero uno di Daimler, ha detto che il loro servizio di car sharing Car2go “risponde alle esigenze di persone che vogliono usare la macchina ma non necessariamente possederla e nell’arco di sei anni dovrebbe generare ricavi attorno agli ottocento milioni”. Il fenomeno Car2go – il servizio di noleggio a flusso continuo di Daimler ed Europcar – è attivo in Italia a Milano, Roma e Firenze: le Smart bianche e blu hanno già raggiunto un milione di clienti nel mondo.
Perfino la Porsche, anche se con una formula diversa, ha deciso di puntare sul noleggio. Nel caso del marchio sportivo tedesco il business è offrire la possibilità di realizzare un sogno. A cominciare da 69 euro l’ora (carburante escluso, è ovvio) tra il martedì e la domenica per Boxster, Cayman e Macan. Per una intera settimana si può arrivare a sborsare fino a poco meno di 2.600 euro, oltre ai 2.500 di cauzione.
Sergio Marchionne, numero uno di Fiat Chrysler Automobiles, la pensa diversamente dai suoi colleghi tedeschi. Al Salone di Parigi era stato lapidario: “Il car sharing non impatterà sulla nostra attività nei prossimi cinque, dieci anni”, aveva detto in conferenza stampa con i media italiani. L’operazione italiana Enjoy – il noleggio delle 500 rosse disponibili a Milano, Firenze e Roma – è infatti un’iniziativa dell’Eni: Fiat non partecipa al business (che potrebbe avere sbocchi fuori dall’Italia) e si limita a vendere le vetture.
A parte Marchionne, gli altri manager puntano su questa nuova forma di business. Nonostante le difficoltà. All’inatteso successo italiano di Car2go, per esempio, fa da contraltare l’abbandono del Regno Unito: Car2go ha lasciato sia Birmingham sia Londra ed a fine anno abbandonerà anche la tedesca Ulma, dove il progetto aveva preso forma.
Da qualche giorno, però, nella capitale britannica si è insediata BMW con DriveNow, una società al 50% con Sixt, che offre vetture a marchio BMW e Mini. L’offensiva londinese è scattata con 210 tra Serie 1 e Mini Countryman alle quali si aggiungeranno 30 BMW i3 nella prossima primavera. Entro la fine del 2015 la flotta dovrebbe raggiungere le 300 vetture. Rispetto a Car2go, il servizio di DriveNow è meno ramificato: 360.000 clienti fra Germania (Monaco, Berlino, Düsseldorf, Colonia e Amburgo), Austria (Vienna) e Stati Uniti (San Francisco). Car2go è presente in Germania nelle stesse città (più Stoccarda), così come nella capitale austriaca, ma è presente pure in Italia, nei Paesi Bassi (Amsteredam), in Canada (Vancouver) e diverse città negli Stati Uniti, incluso il distretto di Brooklyn a New York con un totale di un milione di clienti.
Con Car2go, Daimler ed Europcar offrono modelli a due posti, mentre DriveNow mette a disposizione vetture con più capacità. Insomma: target diversi. BMW, spiegava Diess, ha cominciato a guadagnare con DriveNow (che dovrebbe venire esteso a 25 città) ad appena due anni dal debutto. “E se i nostri clienti si divertono a guidare una Mini cabrio anche solo per mezz’ora, se ne ricorderanno quando decideranno di comprare un’auto”, aveva precisato.
I dubbi di Marchionne – “sono tutti bellissimi concetti, come l’auto elettrica, ma ci sono problemi strutturali. Il modello in testa è chiaro, ma bisogna vedere se funziona, e non è affatto facile” – frenano invece la Fiat. Che potrebbe trovarsi ad inseguire i rivali un po’ ovunque, anche in Cina, il primo mercato dell’auto al mondo. Un governo che sorteggia la targhe (tranne per i modelli ecologici), assegna le altre con tempi biblici e intende far sparire dalla circolazione almeno 11 milioni di veicoli inquinanti non può che vedere di buon occhio il car sharing.