Il 5 dicembre scorso ho partecipato, in qualità di relatore, al convegno Genere e linguaggio –curato presso l’università Federico II di Napoli da Fabio Corbisiero e Pietro Maturi – con uno studio sulla rappresentazione mediatica della comunità Lgbt, con particolare attenzione alla comunicazione dei giornali online. Molto sinteticamente, si è riscontrato che quando si parla di minoranze si aggiungono informazioni che ai fini della comprensione del fenomeno sono di troppo e producono inevitabilmente pensieri poco nobili sulle minoranze stesse. Alcuni esempi?
Se un italiano investe una famigliola sulle strisce pedonali vi troverete, il più delle volte, di fronte a un “pirata della strada”. Ma se a farlo è un cittadino di un altro paese, sarà il suo essere “rumeno”o “africano” a fare la differenza. Per le persone Lgbt funziona grosso modo così: accade un omicidio? Sarà “un delitto consumato nell’ambiente gay”, come se i luoghi frequentati da omosessuali – dai semplici bar alle abitazioni private, fino ai locali di settore – fossero posti in cui si preparano e consumano reati contro la persona. L’informazione che passa è questa. Sei straniero? Delinqui. Sei gay? Vivi una vita losca e ambigua. Tutte cose che ai “normali” – sembrerebbe il suggerimento di sottofondo – non accadrebbero mai. Ma siamo proprio sicuri di questo?
Ho fatto questa premessa perché leggendo l’articolo di Sandro De Riccardis – denuncia Gay.it – su La Repubblica online, circa i presunti rapporti sessuali consumati nell’abbazia di Chiaravalle, emerge che attorno a quella che è “meta ogni anno di migliaia di visitatori e fedeli, si addensano le ombre dell’omosessualità, di rapporti equivoci tra religiosi e ospiti, incontri clandestini nell’oscurità delle celle”. L’omosessualità è confinata in una periferia qualsiasi del regno delle ombre, il rapporto sessuale tra uomini è (sempre?) equivoco e il tutto ovviamente ha come complice la segretezza, la vergogna. La “semantica del buio” è la condizione tipica di una specifica realtà, secondo la visione mediata da certa informazione che punta, con ogni evidenza, più alla pruriginosità della cosa che alla notizia reale. Si pensi al caso Fulli, ucciso a Roma all’inizio del 2014. Alcuni giornali ci tennero a farci sapere che aveva consumato un rapporto sessuale prima di essere ammazzato. Chissà se la cosa ha migliorato il momento del trapasso, vien da chiedersi.
Se applicassimo questo metodo a tutte le notizie che leggiamo, ci troveremmo di fronte agli infanticidi commessi da genitori che fanno di parte famiglie rigorosamente tradizionali (dal caso Franzoni, al recentissimo omicidio del piccolo Loris), a stupri consumati in ambienti etero (i marciapiedi italiani sono abitualmente frequentati da persone che sono attratte da altre di sesso diverso, lo dice l’evidenza dei numeri), per non parlare di rapine, fatti di corruzione e mafia (indovinate quale orientamento sessuale hanno Buzzi e Carminati?) e per tacere delle infinite guerre che affliggono questo pianeta, Isis in primis che a ben vedere di gay fa proprio strage. Insomma, se De Riccardis ci fa scoprire le “ombre dell’omosessualità”, di contro bisognerebbe parlare di “tenebre etero” per controbilanciare. E, notizia ulteriore, l’ago graverebbe dalla parte dei soggetti secondo natura. Ecco, se si fosse così superficiali e approssimativi il mondo dei “normali” dovrebbe essere raccontato in questi termini.
Quando invece la realtà è molto più semplice: se un rumeno, un kazako o uno svedese investono e uccidono un vecchietto seduto su una panchina, non sarà la sua diversa nazionalità ad aver procurato la sua morte, ma una guida criminale o un tragico incidente. Se un monaco è accusato di abusi sessuali – reato per altro escluso dagli stessi inquirenti – non è successo perché è stato con un altro uomo, ma perché alcuni vivono la sessualità come atto di violenza. E questo è sempre sbagliato, qualora accada. Poco importa se gli attori del sopruso sono due maschi o un uomo e una donna. Dove c’è abuso c’è sempre un atto di cui dover render conto, in sede penale se ci sono gli estremi.
Per cui, per favore, usiamole meglio le parole. O quanto meno, certi giornalisti mi avvertano prima: l’articolo di De Riccardis sarebbe stato un esempio da manuale della peggiore comunicazione sui temi Lgbt. Avrei fatto un’ottima figura, ai fini del mio studio, per intenderci. Il giornalista un po’ meno, ma questo è un fatto di cui, per fortuna, non devo rispondere io.