Siamo sotto Natale, giù nel cortile sta sbocciando una calla. Sarebbe anche suggestivo se non fosse che tutta quest’aria di rigoglio amazzonico non emana l’afrore del giocondo, salubre massacro tropicale dove la morte feconda e rivitalizza all’istante, e così niente fa in tempo a morire perché tutto si reincarna. No, neanche a parlarne, giù nel cortile c’è il pesante, deprimevole odore della marcescenza che non si rassegna al salutare, ovvio, disseccamento stagionale di qui, di questi posti temperati del tropico del Cancro.
E la calla, la bellissima calla e le sue magnifiche, vigorosissime foglie, sono una presenza mostruosa, un travestimento alieno. La vedova che pulisce il cortile se la sta a guardare, la calla, e freme dalla voglia di portarsela a casa. Potrei dirle di prenderla, è quello che aspetta, ma ha novant’anni e penso che potrebbe ucciderla nel sonno. Ha una forza equivoca quella calla che si è fatta viva nel momento sbagliato, partorita da questo vento sbagliato, ‘sto scirocco che non finisce mai, non finisce mai.
Non è più questione che le stagioni sono andate a remengo eccetera eccetera, ma ormai c’è dell’altro nell’aria. Una confusione nuova e generale, un Avvento che non dice niente di buono. A meno che non abbiamo visto male io e la vedova. E quella che ci sembra una calla è invece una cometa appena nata, un corpo celeste che magari domani prende e partirà tirandosi dietro i saggi rimasti ancora al mondo, se ce n’è ancora disposti a rischiare un viaggio appresso a un fiorire alieno. Staremo a vedere.