Sono diverse le questioni ancora aperte che la polizia di Sidney non ha (o non ha voluto sciogliere). Chi ha ucciso i due ostaggi? Quali erano i motivi dell’attacco? Qualcuno aveva negli scorsi mesi valutato la pericolosità sociale dell’assalitore? Aperta un'inchiesta ad hoc
C’è un grande tappeto di fiori questa mattina davanti al Lindt Cafe, il locale di Sidney dove per 16 ore un uomo ha tenuto in ostaggio diciassette persone. E’ l’omaggio con cui migliaia di australiani ricordano i due morti nel raid con cui la polizia ha messo fine al sequestro e ucciso il suo responsabile, il predicatore Man Haron Monis. Mentre pare accertato che l’uomo abbia agito da solo, restano diverse questioni aperte che la polizia di Sidney non ha ancora, o non ha voluto, sciogliere. Chi ha ucciso i due ostaggi? Quali erano i motivi dell’attacco? Qualcuno aveva negli scorsi mesi valutato la pericolosità sociale dell’assalitore?
Mentre parte l’inchiesta, sono stati identificati i due ostaggi uccisi. Si tratta di una donna di 38 anni, Katrina Dawson, avvocato, che al momento del sequestro si trovava nel Lindt Cafe insieme a due colleghe. Aveva tre figli e amici e parenti la ricordano come “una donna felice e piena di entusiasmo”. L’altro ucciso è Tori Johnson, 34 anni, manager del Lindt Cafe, “un uomo che metteva il suo staff davanti a tutto”, come spiegano ora i colleghi. Sembra che Johnson, ma la notizia non è confermata, sia stato ucciso mentre cercava di disarmare il sequestratore. Per entrambe le vittime, non è ancora chiaro se siano state colpite dal fuoco di Man Haron Monis o da quello delle armi degli agenti, durante il raid.
Questo è d’altra parte uno dei tanti aspetti delle indagini che la vice responsabile della polizia di Sidney, Catherine Burn, non ha voluto chiarire durante una conferenza stampa nelle ultime ore. Quello che è certo, almeno secondo la versione ufficiale, è che gli agenti abbiano fatto irruzione nel caffè “soltanto dopo aver udito dei colpi di arma da fuoco, ciò che ha attivato le procedure di emergenza”. Per prevenire eventuali polemiche, la polizia ha anche precisato che “se non fossero intervenuti gli agenti, le vittime del sequestratore sarebbero state ancora di più”. Tra i feriti ci sono un poliziotto e tre donne, che restano in ospedale sotto osservazione, ma non in condizioni gravi. Non è stata chiarita neppure la dinamica dell’uccisione di Man Haron Monis. Si è tolto la vita o è stato colpito dagli agenti?
L’aspetto che lascia più interdetti è comunque sicuramente quello della libertà di movimento concessa a Monis. Cinquant’anni, di origini iraniane, arrivato in Australia nel 1996, l’uomo era ben conosciuto agli ambienti di polizia e alla sua stessa comunità come un personaggio dalla condotta spesso eccessiva e imprevedibile. Era stato accusato di aver scritto lettere “oltraggiose” ai parenti dei soldati australiani morti in Afghanistan; a suo carico c’erano più di 40 accuse per reati sessuali, da parte di molte donne, e l’accusa di essere stato complice nell’assassinio della sua ex-moglie (compiuto dalla nuova partner). Nonostante questo, all’uomo era stata concessa la libertà in cambio di una cauzione. Il magistrato che aveva considerato il caso, era arrivato alla conclusione che Man Haron Monis rappresentava sì “un rischio per la sua possibilità di interferire con le indagini”; ma che, nonostante questo, la sua pericolosità era attutita dalle “gravi limitazioni imposte, come per esempio l’obbligo di presentarsi ogni giorno a un posto di polizia”.
Quello che appare assodato, a questo punto, è che Monis abbia agito da solo. Il personaggio era d’altra parte conosciuto, e screditato, all’interno della sua stessa comunità. Aveva abbandonato l’Islam sciita, per diventare sunnita, soltanto il mese scorso, dopo anni di conflitto per la sua pretesa di essere considerato un predicatore e ayatollah; nel suo sito, si diceva “uomo di pace”, ma attaccava anche l’Islam moderato, si dichiarava seguace dello Stato Islamico e diceva che “la mia penna è un’arma e le mie parole sono come pallottole”. Una foto, sul sito, lo ritraeva accanto a una scritta: “Siamo pronti a sacrificarci per te, oh Maometto”. Nonostante questi elementi tutt’altro che rassicuranti, Monis veniva considerato una sorta di “lupo solitario”, di eccentrico la cui radicalizzazione, più che a effettivi legami con i gruppi islamisti, veniva spiegata con la sua progressiva marginalizzazione. Ora, dopo il dramma al Lindt Cafe, iniziano polemiche e ripensamenti, che potrebbero condurre a un riesame delle leggi sulla libertà condizionale. “E’ un oltraggio che quest’uomo fosse in giro”, ha detto Mike Baird, premier del New South Wales, lo stato di Sidney.