Correva il ’68 a Trento e tra le materie di studio della Facoltà di Sociologia dell’università tridentina, spiccava per simpatia e preparazione il professor Beppino Disertori, docente di criminologia al quale un giorno, alla fine di una lectio magistralis sulla figura del criminale efferato, in qualità di promotori del contro/corso di psicoanalisi & società repressiva, rivolgemmo il seguente quesito.

“Caro professore, vorremmo sapere come mai le caratteristiche da lei mirabilmente attribuite alla figura del criminale in tempo di pace, in tempo di guerra possono determinare la figura dell’eroe?”

Il professore estere/fatto rimase senza parole e nessuna risposta risuonò nell’aula studentile allibita e sgomenta – quanto bastava per rendersi conto di come qualsiasi categoria precostituita, possa mutare di segno se applicata in differenti contesti & via discorrendo.

Ciò premesso, a proposito del supposto “Re di Roma“, volendo ipotizzare argomentazioni assai verosimili, preferiamo esprimerci, anche in considerazione del lessico del latore in questione, in vernacolo capitolino.

A Ma’… che siccome stamo nella peggio situazione de ‘sto monno e pure de quell’artro… te vorremmo proporre de fa’ un sarto in India e magari c’arisolvi la questione dei marò… e poi… se t’avanza tempo potresti pure anna’ in Pakistan…. che co’ li mezzi tua c’arisolvi pure quello… noi chiudemo l’occhi… che tanto tu de chiuso ce n’hai uno… e se mettemo a paro… e se poi te va de culo ce sarebbe pure d’arisolve stocazzo de Isis… che noi c’avemo fiducia ne li mezzi tua e nell’analisi che c’hai fatto…e tu ce dirai ‘che ce guadagno io?’… a Ciccio… ce guadagni la presidenza della repubblica… e te pare poco?“.

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