“Il mio compito finisce con l’amministrazione straordinaria, non è stato un lavoro semplice”. Parola del commissario straordinario dell’Ilva Piero Gnudi dinanzi alla commissione Attività produttive della Camera. Gnudi ha annunciato così la fine del suo mandato alla guida del siderurgico di Taranto dal 6 giugno scorso. Il successore di Enrico Bondi, quindi, lascia l’Ilva e spiega che “bisogna trovare una soluzione ponte” fra il commissariamento straordinario e la cessione del gruppo Ilva a privati, aggiungendo che “una modifica della legge Marzano non basta, perché bisogna prevedere anche norme ambientali” nel decreto Ilva.
Risolvere la questione ambientale e aziendale a Taranto, quindi, si rivela molto più complicato del previsto: non sono bastati due anni di tempo e la nomina di un Garante e di due commissari per trovare una soluzione. Il Governo, secondo indiscrezioni, intanto pensa a Piero Nardi per sostituire Gnudi. Nardi, già commissario della Lucchini a Piombino, però, ha riportato una condanna oltre 8 anni di carcere proprio a Taranto per la morte di operai colpiti da mesotelioma a causa dell’amianto presente in fabbrica quando Nardi era dirigente dell’Ilva pubblica. Un punto che non sembra imbarazzare l’esecutivo.
Ma dinanzi alla commissione della Camera, Gnudi ha anche spiegato l’attuale situazione finanziaria dello stabilimento siderurgico di Taranto. “Oggi purtroppo i denari in cassa li abbiamo finiti. Possiamo pagare stipendi di dicembre e forse gennaio- ha spiegato l’ormai ex commissario Ilva – ma più in là non si può andare”, aggiungendo che degli 1,2 miliardi di euro sequestrati dal tribunale di Milano ai Riva e destinati al risanamento ambientale solo 164 milioni “sono in Italia mentre gli altri sono in Svizzera”. Ed è con le autorità elvetiche che i vertici dell’azienda stanno trattando in queste settimane per ottenere il rientro dei capitali. “Si tratta comunque di soldi detenuti legalmente perché erano stati scudati”.
Il futuro dell’Ilva, quindi, appare particolarmente burrascoso. Alla mancanza di liquidità, infatti, si aggiunge l’ipotesi di cessazione delle forniture di gas minacciate dall’Eni che per il 2015 ha aumentato il costo del 30% e chiesto una fidejussione di oltre 200milioni di euro. “Non credo che Eni cesserà le forniture, sarebbe una catastrofe” ha detto Gnudi, spiegando “l’Eni ci ha chiesto una fideiussione di 240 milioni. Noi non possiamo farlo, abbiamo chiesto di poter pagare settimana per settimana in anticipo e anche questo non ci è stato concesso. Ma finora abbiamo pagato tutte le fatture”. Eppure nella lettera inviata e firmata il colosso petrolifero ha fissato come termine ultimo il 29 dicembre. Una missiva che, secondo indiscrezioni, sarebbe stata firmata dal vice presidente di Eni e non da Emma Marcegaglia, in procinto di entrare nella cordata con altri gruppi per rilevare il siderurgico di Taranto.