Al centro dell'attività dei Ros dei carabinieri l'uso costante di tecnologie per seguire gli indagati. Microfonate auto, uffici, case, bar e tavoli dei ristoranti. Tra soffiate sulle cimici negli studi degli avvocati e la paura delle forze dell'ordine di essere controintercettati
“Sono un tecnico di Sky, sono venuto a vedere se funziona l’hd”. È il 27 luglio 2012 e un uomo suona al citofono di casa Riccardo Brugia, il braccio destro di Massimo Carminati, che secondo le accuse è il capo di Mafia Capitale. È piena estate e Massimo Brugia non è a casa, ma a Ponza, quando sua figlia apre la porta al tecnico per il controllo. Il giorno dopo però avverte il padre. E la reazione è immediata. Nella vita dei “bravi ragazzi” della mafia romana, anche la visita di un tecnico Sky può essere una minaccia, perché la guerra tra le “guardie” e i “ladri” non può consentire errori né da un lato né dall’altro: gli uni controllano gli altri ed entrambi evitano di farsi scoprire. E così, pochi minuti dopo aver chiuso il telefono con sua figlia, Brugia avvisa Massimo Carminati e Roberto Lacopo: è convinto che quel tecnico, in realtà, sia uno sbirro che ha provato a piazzargli una cimice in casa.
“Ieri – dice Brugia a Lacopo – hanno fatto entra’ uno.. ‘sono di Sky’, sono venuto a vedere se funziona l’hd” … ma che cazzo state a dì! … me so inculato tutti stamattina … ma chi era a Ciccio? chi l’ha chiamati? ma.. te hai mai sentito che so venuti quelli de Sky pe’ vede’ si te funziona bene l’hd? … e dai a Bobo … ma che cazzo..”. Brugia allerta anche sua madre, per sapere se avesse chiamato un tecnico, e la donna gli riferisce di non aver contattato nessuno: se l’è ritrovato in casa accompagnato dalla nipote. Parte l’indagine: Brugia, Carminati e Lacopo avviano le ricerche per verificare se qualcuno, dalla sede di Sky, avesse inviato un tecnico. Carminati cerca riscontri a Sacrofano, Lacopo a Roma, ed entrambi verificano che nessun tecnico era stato inviato dall’amministrazione di Sky. Il giallo si risolve in mattinata, quando Alessia Marini, convivente di Carminati, contatta Brugia e lo rassicura: il tecnico era stato chiamato da una vicina di casa, “Fiorella, del civico 10”, che per un eccesso di zelo aveva deciso di controllare se l’hd funzionasse anche nelle altre abitazioni. E se in questo caso si trattava di un falso allarme, in un’altra occasione i sospetti erano fondati.
Il “favore”di Carminati
Il 10 giugno 2013 Massimo Carminati si presenta nello studio legale di via Nicotera n. 29. La segretaria lo invita ad accomodarsi nella sala riunioni e annuncia la sua presenza agli avvocati Pierpaolo Dell’Anno e Michelangelo Curti. “Che vuole?” chiede Dell’Anno. “Non lo so”, risponde Curti, “m’ha chiamato… voleva passare per un favore”. Il Ros – che ha installato una microspia nello studio legale – ascolta la conversazione in diretta finché i tre escono, per parlare fuori dall’ufficio, e si perdono le tracce del loro discorso. E questa “uscita” non è un caso . Il “favore” di Carminati si comprende il giorno dopo. L’11 giugno un altro avvocato dello studio, Domenico Leto, si presenta con un uomo che estrae un oggetto dalla tasca dei pantaloni. “Là, là…”, indica l’avvocato. E il Ros mestamente deve annotare: “Si udivano rumori in prossimità della periferica installata presso quell’uffìcio e riconducibili inequivocabilmente allo smontaggio della stessa”. I due trovano la cimice: “Eh, infatti”, commenta l’avvocato, “lo sapevo”. “Che facciamo?”, si chiedono. Decidono di lasciarla lì dov’è. E il Ros deve annotare la momentanea sconfitta: “S’è scelto di disporre la cessazione anticipata delle attività di ascolto. in quanto la conoscenza da parte degli indagati delle attività tecniche installate rende l’attività certamente inutile e anche, potenzialmente, pericolosa”. Resta un dubbio: chi ha avvertito Carminati dell’esistenza della microspia all’interno dello studio di Dell’Anno? L’unica certezza è che qualcuno l’ha informato.
Le contromisure del Ros
Gli investigatori cercano costantemente contromisure. Carminati e il gruppo criminale a lui legato – scrive il Reparto anticrimine dei Carabinieri – sono “soliti mettere in atto azioni di spedinamento e bonifica ambientale”. Ma non solo. Gli investigatori temono, a loro volta, di essere intercettati durante le comunicazioni radio: “Non può escludersi l’utilizzo di apparecchiature – peraltro molto economiche e di facile reperimento sul mercato legale – che consentono di rilevare le comunicazioni radio delle forze di Polizia. Vista la delicatezza delle indagini in corso, in via del tutto eccezionale. sorge l’esigenza di garantire l’assoluta riservatezza ed efficacia delle comunicazioni radio. Gli apparati radio attualmente in uso a questo Reparto non garantiscono la necessaria sicurezza ed efficacia”. E così gli investigatori chiedono di poter utilizzare un sistema di dispositivi cellulari in “multiconferenza” che gli garantisce l’assoluta ‘inintercettabilità’.
La rete
È il 2 dicembre quando il Ros ferma Massimo Carminati in una stradina di campagna a Sacrofano. Viaggia su una smart con suo figlio Andrea, a bordo della quale è stata montato un sistema di radiolocalizzazione satellitare. L’operazione “Mondo di mezzo” è appena scattata. I vertici della “mafia capitale” sono stati decapitati. Nonostante le precauzioni, il Ros è riuscito a catturare il boss e l’ha intercettato in migliaia di conversazioni. Ha costruito una ragnatela di cimici sparsa per tutta la città: il quadrante nord, in particolare, è diventato una sorta di unico grande orecchio. Il centro della tela è il bar di largo Vigna Stelluti, ritrovo della banda, dove viene intercettata la famosa conversazione in cui Carminati espone la sua teoria dei mondi: “Ci sono i vivi sopra e i morti sotto e noi in mezzo. C’è un mondo in cui tutti si incontrano, il mondo di mezzo è quello dove è anche possibile che io mi trovi a cena con un politico…”.
In largo di Vigna Stelluti intercettano anche la cabina del telefono pubblico. Poi mettono sotto controllo l’Audi A1 usata sì da Carminati, ma intestata a Sergio Paolantoni (non indagato, ndr), che è il proprietario del bar Palombini dell’Eur e concessionario del Salone delle Fontane, dove il Pd di Renzi, il 7 novembre scorso, ha organizzato la famosa cena di finanziamento. Cimici anche nel bar Palombini quindi, dove Carminati viene ascoltato mentre parla con il suo braccio destro, Brugia e Salvatore Buzzi, patron delle coop rosse e braccio “sinistro” del “guercio” per gli affari con la pubblica amministrazione. Gli agenti piazzano microfoni anche sulla Tiburtina: imbottiti di cimici gli uffici della Coop 29 giugno di Buzzi che si aggiudicava appalti su appalti per la gestione degli immigrati e dei campi rom. E quando Carminati e Buzzi scendono a prendere un caffè, vengono intercettati anche al bancone del bar “da Franco”, location scelta per girare la serie “Romanzo Criminale”, dove continuano a discutere di appalti. E gli appalti arrivano anche grazie all’aiuto di un altro uomo chiave dell’inchiesta: Luca Odevaine, ex capo di gabinetto di Walter Veltroni a capo della Fondazione Integra/Azione, in Via Angelo Poliziano, rione Colle Oppio, dove l’orecchio del Ros lo ascolta per mesi. Con una videocamera installata nelle vicinanze di San Giovanni e puntata sul bar “Caffetteria Valentini”, gli investigatori registrano Carminati con il senatore Domenico Gramazio e il figlio Luca, consigliere regionale. Anche nell’auto di quest’ultimo impiantano una cimice. Quando i tre scelgono di incontrarsi al ristorante Dar Bruttone gli investigatori li anticipano microfonando i tavoli. E se in questi luoghi Carminati e il suo gruppo viene ascoltato per il business sulla pubblica amministrazione, è in un’altra zona della capitale che il “cecato” cura le relazioni con i suoi sodali. Il punto nevralgico, questa volta, è il distributore dell’Eni di Corso Francia, costantemente intercettato, cosi come il “Blu Marlyn”, negozio di abbigliamento di Alessia Marini, compagna dell’ex Nar. Quando gli inquirenti scoprono che Carminati sta per comprare casa, una videocamera registra, nel quartiere Prati, all’ingresso della Banca Intesa San Paolo, l’incontro tra Marini e il notaio per l’acquisto dell’immobile. Nel corso delle indagini si scopre il ruolo di un “bravo ragazzo” emergente, stimato da Carminati e da Ernesto Diotallevi, che lo considera un “superboss”: è Giovanni De Carlo, detto “Giovannone”. Abita a Prati, a Piazza Cavour, e anche le conversazioni nel suo appartamento finiscono nelle cuffie del Ros. All’Eur, invece, è sotto controllo lo Shangrilà –Corsetti, mentre nei pressi della Stazione Termini, in via Merulana, Carminati viene intercettato all’esterno del Bar “Il Braciere”. Decine poi le auto sotto il controllo degli investigatori: dalle Fiat Panda e 500 della famiglia Diotallevi, alle tre Smart di Giovannone, Gennaro Mokbel e Andrea Carminati, alle Audi del “guercio”.
infografica di Pierpaolo Balani