Il premier Dmitri Medvedev ha convocato una nuova riunione di emergenza. Presenti anche i vertici di Rosneft e Gazprom, a cui è stato chiesto di contribuire. In arrivo aiuti per la ricapitalizzazione delle banche, fino alla nazionalizzazione. E la Borsa di Mosca recupera. Volatili i mercati europei, Milano maglia nera
Mentre qualche analista già evoca lo spettro del default del 1998, il governo russo tenta ogni strada per contrastare la débâcle del rublo, che martedì è crollato fino al punto che in serata per comprare un dollaro ne servivano 80. Il ministero delle Finanze guidato da Anton Siluanov ha annunciato mercoledì di aver venduto un’altra fetta di riserve di valuta straniera per difendere il valore della moneta nazionale. Dall’inizio di dicembre la Banca centrale ha eroso con questo obiettivo oltre 10 miliardi di dollari, e secondo un sondaggio condotto dall’agenzia Bloomberg tra 18 economisti il valore degli interventi è destinato a toccare i 70 miliardi, un sesto delle scorte di valuta custodite nei suoi caveau. Secondo alcuni osservatori il Paese potrebbe anche decidere di sacrificare parte delle riserve auree, che alla fine dell’estate hanno raggiunto il massimo storico. Non solo: il premier Dmitri Medvedev ha chiesto anche alle società esportatrici di energia e materie prime di vendere gli introiti in valuta per prevenire sbalzi del tasso di cambio. Il suo primo vice, Igor Shuvalov, monitorerà le operazioni insieme a Bank of Russia e servizio federale per il controllo finanziario.
A differenza dei ripetuti ritocchi all’insù del costo del denaro decisi dalla governatrice della Banca centrale Elvira Nabiullina, queste mosse stanno finalmente dando qualche risultato: mercoledì, dopo aver iniziato la giornata a 72,2 contro il biglietto verde, il rublo a metà mattinata si è stabilizzato a 67 dollari e la Borsa di Mosca, che martedì ha chiuso a -12%, ha archiviato la seduta con il rialzo maggiore degli ultimi cinque anni, +17,6 per cento. Un precario equilibrio raggiunto dopo la convocazione di una nuova riunione di emergenza sulla crisi valutaria nella residenza di Gorki del primo ministro, presenti la Nabiullina, i vertici delle autorità fiscali e i dirigenti di Rosneft e Gazprom.
Medvedev, dopo aver assicurato che il Paese “ha le risorse monetarie necessarie per raggiungere i suoi obiettivi economici e politici”, ha detto che il rublo “oggi è sottovalutato” e il suo cambio “non riflette l’attuale situazione dell’economia”. Secondo l’agenzia Tass, per il primo ministro le due cause fondamentali della caduta della moneta sono i prezzi del petrolio in flessione e la pressione politica straniera, incluse le sanzioni occidentali imposte in seguito alla crisi in Ucraina. Sanzioni che gli Stati Uniti si apprestano a inasprire durante il prossimo fine settimana. Cause, dunque, che “non dipendono dalla Russia”. In ogni caso, secondo il pupillo del presidente Vladimir Putin sarebbe “senza senso imporre una regolamentazione rigida degli scambi sulle valute: non ne deriverebbe niente di utile”. No a limiti al trading e controlli sui movimenti di capitale, quindi. Banca centrale e Cremlino hanno messo a punto un piano alternativo di interventi a sostegno delle banche, i cui prestiti, cresciuti esponenzialmente quest’anno, potrebbero trasformarsi in una pesante zavorra di sofferenze. Il pacchetto comprende tra l’altro aiuti per la ricapitalizzazione, fino alla nazionalizzazione, una moratoria temporanea sulle coperture dei prestiti a rischio e aste supplementari in valuta estera.
Ma le riserve non dureranno in eterno. E entro la fine del 2015 società e banche russe dovranno rimborsare 134 miliardi di dollari di debiti in valuta estera. Di qui il timore del contagio che potrebbe dilagare sui mercati nel caso di un tracollo del Paese. Le Borse europee, dopo una giornata in altalena, hanno chiuso in ordine sparso, ma con Milano maglia nera: Piazza Affari ha chiuso la seduta di mercoledì in ribasso dello 0,54 per cento. Particolarmente deboli le banche, e non è un caso visto che quelle della Penisola sono seconde solo alle francesi per ammontare di crediti vantati verso il mercato russo. Unicredit, l’istituto italiano più esposto con impieghi per 14 miliardi di euro, ha però escluso la possibilità di effetti negativi rilevanti sui propri bilanci. Per quanto riguarda la consociata russa Zao Unicredit Bank, l’amministratore delegato Federico Ghizzoni ha detto che “l’impatto del rublo è molto limitato perché il bilancio è per metà in rubli e per metà in dollari” e per fine anno “non sono attese svalutazioni né penso il prossimo anno”. In generale, a causa della crisi ucraina “già da alcuni mesi avevamo fortemente ridotto le attività di credito verso privati e retail, i più rischiosi in momenti di volatilità”. Di conseguenza l’utile 2014 di Zao Unicredit Bank “non è intaccato” per ora dalla crisi russa, anche se l’istituto segue “con molta attenzione quello che sta succedendo” e “gli impatti ci saranno”.