“E’ la più grande rivoluzione culturale mai prodotta in questo Paese” aveva detto, nella primavera del 2010, Renato Brunetta, allora ministro della funzione pubblica e dell’innovazione nell’annunciare la sua idea di “regalare” a tutti gli italiani un indirizzo di posta elettronica certificata da utilizzarsi, però, solo ed esclusivamente, per dialogare con la pubblica amministrazione e, per questo, subito battezzato – per distinguerlo dalla sua sorella maggiore Pec, valida per ogni genere di comunicazione elettronica – Cec-Pac ovvero Pec del cittadino.
Prevedere che l’idea che l’allora ministro raccontava come “la migliore riforma italiana dal dopoguerra ad oggi” sarebbe stato un flop senza precedenti e sarebbe costato allo Stato – e, quindi, ai cittadini – decine di milioni di euro senza produrre alcun beneficio e senza rappresentare nessun passo avanti nella digitalizzazione del Paese era, obiettivamente, facile tanto che lo si era fatto, ad una manciata di mesi dall’avvio del progetto, proprio da queste colonne.
Ci sono, quindi, voluti oltre quattro anni per prendere atto del flop annunciato della posta elettronica certificata del cittadino cara all’ex ministro Renato Brunetta e avviarne la progressiva sua archiviazione negli annali della storia dei progetti di mala-innovazione italiani.
L’Agenzia per l’Italia digitale, infatti, ha annunciato ieri l’avvio della procedura per la dismissione della Cec Pac e, soprattutto, dato i numeri del flop annunciato, numeri che danno, da soli, la misura di quanto quella che era stata raccontata come “la più grande rivoluzione culturale mai prodotta in questo Paese” ha rappresentato, in realtà, solo uno dei più grandi buchi nell’acqua sin qui realizzato nel segno della pseudo-digitalizzazione del Paese.
In oltre quattro anni, infatti, solo 2 milioni di cittadini italiani hanno richiesto l’assegnazione di un indirizzo di Cec Pac, solo poco più di un milione ha poi effettivamente attivato tale indirizzo e appena, il 20% lo ha effettivamente utilizzato per trasmettere più di una comunicazione.
E’ come dire che “la migliore riforma italiana dal dopo-guerra ad oggi”, secondo la propaganda brunettiana, ha incontrato un marginalissimo consenso di meno di duecentomila cittadini, sempre ammesso che le comunicazioni che risultano trasmesse attraverso la Cec Pac non siano quelle inviate per provare il nuovo “giochino” da parte di chi si è divertito a richiederlo.
Ma non basta.
L’Agenzia per l’Italia digitale, nel suo comunicato di ieri, infatti, non rende noto a quanto ammonti la cifra monster sin qui spesa dallo Stato per la realizzazione del progetto, per la sua implementazione e gestione ma informa della circostanza che, grazie alla decisione di spedire la Cec Pac in soffitta, si risparmieranno 19 milioni di euro, un numero che da solo vale a dare la misura anche di quanto sin qui si è inutilmente sperperato.
Ogni parola in più, sarebbe di troppo.
Il tempo è stato un giudice giusto e galantuomo ma, sfortunatamente, frattanto si sono sperperati soldi, energie e risorse che avrebbero, certamente, potuto essere investite meglio e più efficacemente per fare, per davvero – e non solo a parole – l’Italia Digitale.
Non è mai troppo tardi.
La decisione assunta dal Governo di archiviare, finalmente, la Cec Pac è, forse, una prova di un cambiamento di passo e, soprattutto, di mentalità che fa ben sperare per il futuro – anche digitale – del Paese.
Il comunicato stampa dell’Agenzia per l’Italia digitale, infatti, si chiude con una “promessa” importante: i 19 milioni di euro risparmiati mandando in soffitta la Cec Pac, potranno essere investiti in nuovi servizi per cittadini ed imprese come, ad esempio, la realizzazione di “Italia, Login”, la “casa online del cittadini”, della quale, per fortunata, si inizia a parlare con sempre maggiore insistenza.
Una rivoluzione – ben diversa da quella annunciata dall’allora ministro dell’Innovazione Renato Brunetta – forse è possibile.