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Cuba-Usa: le indiscrezioni del Nyt e le pressioni del big business

“Il Generale dell’Esercito Raul Castro Ruz, Presidente del Consiglio di Stato e dei Ministri si rivolgerà al nostro popolo per un importante annuncio sulle relazioni con gli Stati Uniti”. Due righe del Granma, l’organo di informazione del Partito comunista cubano, ieri rendevano nota al mondo una delle svolte più significative della politica internazionale degli ultimi anni.

Alle ore 12:00: “Cuba visión internacional” e “Radio Habana” trasmettevano la “comparecencia especial” sugli Stati Uniti del Presidente Castro.

La pressione di settori influenti dei cubani esiliati in Florida, del big business americano che spinge perché l’Amministrazione di Washington riveda le posizioni sull’embargo per non perdere opportunità commerciali – soprattutto nel campo delle telecomunicazioni in una futura Cuba aperta al capitalismo -, ha giocato un ruolo importante nella vicenda.

L’opinione pubblica americana sembra condividere la svolta radicale impressa da Obama, in un articolo dello scorso 17 ottobre il New York Times esortava il Presidente ad un decisivo cambio di passo nelle relazioni con l’isola. “Obama should end the Embargo on Cuba”, titolava l’influente foglio newyorkese.

Le liberalizzazioni, seppur ancora timide, introdotte dal fratello di Fidel nel mercato interno, le aperture legislative dello scorso marzo da parte dell’Assemblea Nazionale di L’Avana per provare ad attrarre gli investimenti stranieri, le minori restrizioni nei viaggi all’estero per i cubani, una maggiore tolleranza verso i dissidenti, erano segnali che dovevano essere colti dalla politica americana. Cuba, con l’annuncio di queste ore, viene cancellata dalla lista del Dipartimento di Stato sui paesi che appoggiano il terrorismo. Nella lista nera rimangono solo tre nazioni: Siria, Sudan e Iran.

Non aveva senso, secondo il NYT, continuare a considerare Cuba un “paese canaglia”, l’isola fu inserita nell’elenco nel 1982 in seguito ad un timido appoggio a movimenti ribelli latinoamericani. Vincoli rotti da tempo, l’isola oramai ha assunto un ruolo diplomatico non irrilevante, quale sede degli incontri tra il Governo colombiano e i rappresentanti delle Farc sta dando un impulso notevole al difficile processo di pace. Ha usato 665 parole Raul Castro per spiegare nella “comparecencia” davanti alle telecamere della televisione nazionale ai cubani le ragioni del cambiamento di rotta.

“Abbiamo concordato di ristabilire le relazioni diplomatiche” ha annunciato nel mezzo del discorso, dunque tra pochi mesi le “Interest sections”, presidi consolari presenti nelle rispettive capitali, amplieranno spazi e prospettive per diventare sedi diplomatiche a tutti gli effetti.

“E’ arrivato il «D – day»?”, si chiede la blogger Yoani Sánchez in un post pubblicato sul sito “Generación Y”, la dissidente auspica che la futura agenda diplomatica possa ricomprendere la liberazione di tutti i prigionieri politici, la ratifica di accordi sui diritti umani e una maggiore partecipazione della società civile.

Sarà quello il momento del “D-day”?