Il dibattito sul ‘declino’ delle nazioni ferve soprattutto in Italia. All’origine del fenomeno si indicano soprattutto due possibili cause: (1) la cultura di un popolo (la degenerazione morale); (2) gli incentivi sbagliati (la degenerazione delle istituzioni). Le due spiegazioni, in realtà, non sono del tutto alternative: uno scarso sentimento civico dei cittadini alimenta la degenerazione delle istituzioni, e viceversa. Il problema in tal caso, come quello dell’uovo o della gallina, diventa impossibile.

Io ritengo però che le due teorie non abbiano la stessa forza esplicativa: prediligo nettamente la (2). Ma questa teoria suscita immediatamente due interrogativi: (A) “Quali sono gli incentivi adeguati?” (B) Posto che le istituzioni non si riproducono e tanto meno cambiano per partenogenesi, quali sono i soggetti sociali che potrebbero farsi carico del cambiamento istituzionale?”.

Alla prima domanda ho risposto molte volte. Per esempio nei post: “Casta, rottamarla rottamando le istituzioni?“; “Alle origini del declino con la proposta di Fabrizio Barca“; “Va’ dove ti porta Renzi I“; “Quando il Pd disse ‘no!’ a Roosevelt“; “Letta, conservatore sarà Lei!“; “Riforme istituzionali che interessano ai cittadini“; “Legge elettorale, la messa in sicurezza della democrazia: o avanti o indietro!“; “Crisi economica, crisi democratica, e il ‘giogo’ sugl’italiani“; e in diversi discorsi tenuti nel Pd fino a quando sono stato attivo nel partito). In sintesi, la mia tesi è che se ne esce con una rivoluzione democratica: con l’attuazione completa e l’applicazione rigorosa della Costituzione, se possibile aggiornata in senso democratico e non nel senso opposto (Patto del Nazareno ecc.).

Come ha detto monsignor Giancarlo Bregantini, capo della commissione episcopale sul lavoro della Cei, “dobbiamo creare un’economia dove le decisioni non siano prese da pochi in stanze oscure, ma che siano trasparenti. Ci devono essere organi di controllo, la partecipazione della base. E’ il buio che crea la corruzione o l’antipolitica.” Solo sotto il controllo di grandi masse di cittadini la politica agirà nel loro interesse (crescita generale), invece che nell’interesse di pochi (distribuzioni privilegiate, rent-seeking). A cominciare dall’attuale crisi economica, del tutto evitabile.

Sulla seconda domanda, (B) “Quali sono i soggetti sociali che potrebbero farsi carico del cambiamento istituzionale?”, mi viene in soccorso Lucio Gallino:

Tra coloro che hanno partecipato alle dimostrazioni per lo sciopero di venerdì 12 dicembre si contano forse numerosi elettori potenziali per lo sviluppo di una nuova ampia formazione politica… Chi volesse … potrebbe trarre indicazioni utili da quanto accade … in Spagna. Podemos” sembra per così dire nato dal nulla. Fondato nel gennaio 2014 da una trentina di persone provenienti da diversi partiti, intellettuali, esponenti di movimenti, coordinate dal trentenne Pablo Iglesias Turrión, appena quattro mesi dopo raccoglie abbastanza voti da mandare a Strasburgo cinque eurodeputati. Al presente viene accreditato di oltre il 27 per cento dei voti, quasi due punti in più dei socialisti e ben 7 in più rispetto ai popolari”.

A differenza del M5S, i leader sono persone di alta competenza, accademici, e leader sociali impegnati e motivati; c’è insomma rispetto per la gerarchia qualitativa, che alza il livello dei programmi e rende credibile le soluzioni. Il programma economico è keynesiano, perciò in grado di risolvere la crisi occupazionale (e ridurre il debito nel medio termine). Il programma istituzionale è fortemente ‘democratico’; attento a portare una sfida costruttiva e mirata alla dittatura tecnocratica europea. Non si abbandona a vagheggiamenti massimalisti sulla democrazia diretta (ma alcuni strumenti di democrazia diretta vengono promossi). Non ci sono leader dei vecchi partiti, non ci sono figure ideologiche che mirano a ‘rifondare il comunismo’ o altre balle (se ci sono danno una mano dietro le quinte, con generosità). L’impostazione è socialdemocratica, cioè spostata verso il centro ed in grado di accogliere e sintetizzare gli interessi di molti. Il Patto sociale che si propone agli spagnoli è orientato alla crescita, non alla redistribuzione.

Anche in Italia, il programma potrebbe nascere dall’incontro fra gli intellettuali e gli stakeholders di varie questioni sociali. Lo Statuto della nuova formazione può nascere (per partenogenesi?) da quello del Pd ma opportunamente emendato da quei cinque o sei meccanismi che ne svuotano la natura democratica. La rete può dare un contributo decisivo. Il finanziamento può nascere da 100.000 Euro di tre benefattori iniziali seguiti da un crowfunding condizionale (‘Se arriva un milione entro tre mesi continuiamo, altrimenti vi restituiamo i soldi’). I soldi sono necessari per fare politica nazionale: arriveranno se la nuova formazione è basata sull’autentica partecipazione democratica, non sull’assemblearismo. Ma solo energie giovani possono realizzare un sogno come questo. Podemos!

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