C’è qualcosa di disumano nell’aspettare la sentenza sull’omicidio di tua figlia. Non solo per quella frase che si sente ripetere e che spiega come niente – nessuna decisione, nessun giudice – te la restituirà. Soprattutto perché non esiste una conclusione che sia davvero augurabile. Non è augurabile sperare che tutto – e per tutto bisogna pensare all’amputazione, di qualcosa che è molto più di un arto – si risolva in niente, in un “il colpevole non è stato trovato”. E il risarcimento – oltre un milione di euro – lo è soltanto di nome. Ma nemmeno è augurabile sperare che alla fine ti dicano sì, a fracassarle il cranio è stato quel ragazzo biondo che avrebbe dovuto volerle bene e proteggerla. E che adesso, dopo l’assoluzione in primo grado e la condanna di ieri, può solo dire di essere “sconvolto”.
Eppure in questa foto la mamma di Chiara sorride. Subito dopo la lettura della sentenza ha detto: “Siamo soddisfatti, non abbiamo mai mollato, volevamo giustizia e dopo sette anni è arrivata”. E poi: “Ora guarderò Chiara e le dirò ‘ce l’hai fatta”. E’ una dichiarazione struggente, tenerissima: perdere qualcuno che si ama non significa affatto smettere di parlargli, il problema al massimo è non ricordare bene la sua voce. “Non abbiamo mai mollato” vuol dire che c’era una battaglia da combattere, forse l’unico modo per dare un senso alla più inaccettabile verità.
Giuseppe Poggi ha ringraziato gli avvocati: “Chiara ormai è diventata una figlia anche per i nostri legali, che ringrazio. Non dico di più altrimenti mi commuovo”. Sono passati sette anni, che per la famiglia Poggi devono essere trascorsi al ralenti, nell’ossessiva ricerca di un perché che non esiste, di un colpevole che per adesso, in attesa della Cassazione, è stato trovato. Il loro sollievo è probabilmente il respiro trattenuto in un’apnea durata troppo a lungo. Per questo non c’è spazio per nessun giudizio sulla compostezza, sui sorrisi, sulla soddisfazione. Si può solo guardare da lontano, senza curiosità, senza sentimenti. Sapere che vivere una non vita senza Chiara è stata la prima prova di resistenza. Adesso li aspetta una battaglia ancora più difficile, che non ha luoghi, nemici, vittorie: accettare che anche tra 16 anni (sempre che la sentenza di secondo grado sia confermata) dovranno continuare a stare senza Chiara.
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il Fatto Quotidiano, 18 Dicembre 2014