Gone Girl è il sequel di The Social Network: dopo quel Facebook, questo Fakebook, ed è sempre l’album delle menzogne. David Fincher continua a decrittare i vizi privati fatti pubblici della società neocapitalistica: là la genesi, qui lo stato dell’arte, il regista seguita ad ascrivere responsabilità individuali ai cambiamenti sociali. Siano gli Zuckerberg piuttosto che questi Nick e Amy, Fincher crede che dare un nome ai responsabili significhi dare una spiegazione alle loro azioni e alla nostra visione del mondo, ma è così? E, soprattutto, l’approdo di Fincher ci dice qualcosa che già non sapevamo o ce lo dice meglio?
Tratto dal bestseller di Gillian Flynn (Rizzoli), L’amore bugiardo esula da un genere specifico, meglio, ne contempla più d’uno: quello principale è il thriller, suppergiù a scatole cinesi. Diamo fede alla sua classe d’appartenenza e non sveliamo – anche per chi ha già letto il libro, ci sono delle variazioni – il plot, se non nei suoi passi iniziali: Amy Dunne (Rosamund Pike) scompare il giorno del quinto anniversario di matrimonio, il marito Nick (Ben Affleck) è il principale sospetto, la verità non triangola. Come già in The Social Network del 2010, e parzialmente anche nel successivo Millennium – Uomini che odiano le donne, il regista compie un passo ulteriore nella sua poetica, anzi, nella sua ideologia.
Lasciate perdere le accuse inconsistenti di misoginia che puntualmente gli vengono addossate, in realtà, il suo cinema è il rifugio dei serial killer. Su basso continuo mortifero, ecco la teoria: Seven (1995), serial killer; Fight Club (1999), botte di gruppo; Panic Room (2002), reclusione e paura; Zodiac (2006), serial killer; Il curioso caso di Benjamin Button (2008), eppur si muore. Poi, inframmezzati dal remake killer Millennium, The Social Network e Gone Girl che allargano lo spettro e le ambizioni di critica sociopolitica: protagonisti sono dei social killer, l’evoluzione 2.0 della specie serial killer.
La correità, ovvio, è sociale: qui non arriviamo alle centinaia di condivisioni del “Sei morta troia” postato recentemente da un uxoricida italiano, ma il verdetto è sempre affidato al “mi piace” (innocente) o “non mi piace” (colpevole) del social e Tv network. Della coppia Nick e Amy, come già della coppia Eduardo Saverin e Mark Zuckerberg, a Fincher non interessa quasi nulla: sono gli spettatori delle loro azioni, in ultima analisi gli spettatori del film, il suo punto focale, mentre la crisi del matrimonio e i suoi derivati sono il dito che indica la luna.
La più grande menzogna del film, già avvertibile nell’appartenenza problematica al genere thriller, è questa: non è Gone Girl, la ragazza scomparsa, il film, ma ancora una volta il Social Network sulle sue tracce. Lo stesso discorso può essere applicato a House of Cards, la fuoriserie tenuta a battesimo dietro la macchina da presa da Fincher, anche produttore esecutivo: storia di coppia (Kevin Spacey e Robin Wright, alias Frank e Claire Underwood) sullo sfondo dello scacchiere politico a Washington Dc, in realtà, è l’esatto opposto, storia di backstage politico sullo sfondo di coppia.
Eppure, a fare di The Social Network e House of Cards dei capolavori e di Gone Girl un film solo parzialmente riuscito, interviene altro: il fattore umano. Di Mark e Eduardo, di Frank e Claire, dei loro scazzi e dei loro amori, ce ne importa assai, non così di Nick e Amy, nonostante le nefandezze, le turpitudini morali siano a favore di House of Cards: a Gone Girl manca l’umanità dolente, il cuore di tenebra, i fallimenti e la fallibilità. Ed è grave, caro Fincher, perché se non ce ne frega nulla del proprietario del dito, di sicuro non guarderemo mai la luna.