Assolti in appello dall’accusa di associazione mafiosa sei presunti esponenti del clan della ‘ndrangheta Barbaro-Papalia, radicato nell’hinterland milanese. La sentenza della Corte d’Appello di Milano è arrivata dopo che nel giugno 2013 la Corte di Cassazione aveva annullato con rinvio, per un nuovo processo di secondo grado, le condanne fino a 8 anni e 8 mesi per associazione mafiosa inflitte agli imputati che, secondo l’inchiesta ‘Parco Sud’ della Dda milanese, avrebbero fatto parte della cosca radicata nella zona di Buccinasco.
Secondo la Suprema Corte, che aveva accolto il ricorso dei difensori, era stato violato il “principio del ‘ne bis in idem’” che comporta “il divieto di un secondo giudizio per il medesimo fatto nei confronti dello stesso imputato”. Ad alcuni degli imputati, infatti, era già stata contestata la stessa accusa di associazione mafiosa nel processo cosiddetto ‘Cerberus‘ a Milano.
Oggi la terza Corte d’Appello di Milano, presieduta dal giudice Arturo Soprano, accogliendo la tesi della Cassazione, ha emesso una sentenza di non luogo a procedere per Domenico, Rosario e Salvatore Barbaro per il reato di associazione mafiosa commesso dal 2006 al giugno 2010 (il periodo a cui risalgono i reati contestati nel processo ‘Cerberus’) perché gli imputati “sono già sottoposti a procedimento penale per i medesimi fatti”.
Per quanto riguarda il periodo successivo, fino al 28 ottobre 2010, sono stati assolti per insufficienza di prove. Assolti con la stessa motivazione anche Francesco Barbaro, Domenico Papalia e Antonio Perre, i tre imputati che non erano coinvolti nel processo ‘Cerberus’. La terza Corte d’Appello, caduta l’accusa di associazione mafiosa, ha quindi ridotto le pene inflitte agli imputati, che erano stati condannati anche per possesso e ricettazioni di armi: Domenico, Rosario, Salvatore e Francesco Barbaro sono stati condannati, rispettivamente, a 6 anni e 6 mesi, 2 anni, 4 anni e 4 anni e 6 mesi di reclusione. Antonio Perre è stato condannato a 5 anni.
Il sostituto pg di Milano Laura Barbaini oggi aveva chiesto la conferma delle condanne inflitte in primo grado con rito abbreviato. “Siamo soddisfatti perché eravamo di fronte a un evidente caso di ‘ne bis in idem’ – ha spiegato l’avvocato Amedeo Rizza, difensore di Antonio Perre – probabilmente presenteremo un nuovo ricorso in Cassazione perché le pene restano eccessive”.