Le chiamavano esigenze di scena: “Devo farmi coraggio, dare uno schiaffo a Gassman, essere credibile. Allora mi carico, parto e gli mollo una sberla. La troupe esulta ‘brava la Lisi, anvedi Virna’. Da copione, Vittorio avrebbe dovuto restituirmi il ceffone un minuto dopo. Lo fece con gusto proprio quando io me l’ero già scordato. Sentii muoversi i denti, mi arrivò una cinquina mostruosa”.
Dietro il sipario dei suoi 100 film, le storie di Virna Lisi hanno il timbro ruvido del malanno stagionale: “Ho un po’ di raucedine” e il guinzaglio sciolto dell’età che libera le prudenze: “A 77 anni, finalmente, dico un po’ quel che mi pare e piace”. Ci sono cani e quadri, alberi e poltrone, ricordi e incidenti di percorso che quasi immobile, sul divano, nel contegno di un lungo vestito nero e di un mestiere tenuto ostinatamente diviso dalla realtà, Lisi mette a fuoco senza strabismi: “Oggi se fai l’attore, ma non sei depresso, non vai dallo psicanalista, non ti dai un tono o non hai drammi intellettuali, non sei nessuno. Amavo la semplicità di Mastroianni. Marcello era il mio preferito. Si metteva lì, recitava, aspettava le gamella con le polpette della madre – la gioia sua – e poi nelle pause pomeridiane dormiva felice”.
Per le sue interpretazioni Lisi ha vinto a Cannes, accumulato David di Donatello e Nastri d’Argento, sperimentato i riflessi dorati di Hollywood sulla sua pelle: “I film a cui partecipavo incassavano molto e io ero prigioniera dell’allucinante logica
degli Studios. Gabbia dorata, parrucchieri al seguito, autisti, lusso e isolamento. Non potevo andare neanche al supermercato”. Vincendo il pregiudizio che la voleva splendente e niente più: “Ho cercato di imbruttirmi tutta la vita perché della bellezza non me ne è mai fregato niente. Che meriti hai per il tuo aspetto?”. Virna ha smesso di crucciarsi: “E meno male che non ci ho riflettuto, perché a concentrarmi troppo sulle sciocchezze e sulle rughe chissà dove sarei finita”.
Dove sarebbe finita?
Nell’isola dei nevrotici. Ma li avete visti i maschi ossessionati dal loro profilo? Questi che se credono belli e si specchiano tutto il giorno me fanno una gran pena. Negli uomini il narcisismo è parente stretto dell’omosessualità. La donna lo capisce subito, il bluff lo svela in un minuto.
Suo padre che uomo era?
Lui era bello davvero. Un marchigiano alto, con il baffo alla Clark Gable, commerciava in caramelle e invitava me e mia sorella a limitare le dolcezze: “Diffidate da chi vi mette una mano sulla spalla”. Sembra niente, ma per decenni, a ogni spalla sfiorata da un estraneo, ci irrigidivamo subito. Un incubo.
Suo padre osteggiò il suo percorso?
Lo favorì. Un giorno mi prese all’uscita di scuola e mi portò da un suo amico, il padre di Giacomo Rondinella. Era l’epoca della commedia musicale napoletana, feci dei provini ed esordii nel ruolo di una contadina che si scopre contessa. Si intitolava …E Napoli canta.
L’ha mai rivisto?
Mai. Non mi rivedo mai. Non mi piaccio, non sono stata una di quelle attrici che appena dato lo stop corrono al monitor a controllare il risultato. Però ero brava, imparavo la parte senza incertezze e quando le amichette dei produttori, certe belvette che non avete idea, non si accaparravano la parte in anticipo, venivo anche assoldata. Ero concreta, senza fronzoli. Eredità di un’infanzia allegra, pur nelle ristrettezze pazzesche. Nella prima casa romana, dopo un triennio barese, dividevamo l’appartamento con altre due famiglie. Non era esattamente come dividere il set con altre decine di persone. Mi accorsi di poter stare anch’io nella recitazione affrontando Orgoglio e Pregiudizio. Nei primi sceneggiati tv andava tutto in diretta e per l’evento si fermava l’Italia. C’era un’aspettativa enorme. Tremavano e piangevano anche i grandi attori. Io ero serena, vai a capì perché. Pensare che avrei voluto fare la biologa.
Ricorda la pubblicità di quel dentifricio tedesco, il Chlorodont?
L’unica che abbia accettato di fare e ancora mi tormentano. Lo slogan era di Gualtiero Marchesi: “Con quella bocca può dire tutto ciò che vuole”. Quando D’Alema ha riesumato la battuta per provocare Renzi ho pensato a una sola cosa.
Quale?
È uno che avrà l’età giusta per ricordarsi ’sta cosa, Massimo D’Alema.
Lei che età si sente?
Quella in cui pagherei per fermare il tempo. Sapeste quanto me rompe invecchià . Sei più maturo, più consapevole e più esperto. Tutto vero, ma alla fine, che ti importa di essere più consapevole? Sapete cosa mi manca? La febbre di fine anni ’50, la spensieratezza gioiosa dei ’60, non avete idea di quanto tutto fosse più bello. Mio marito lo conobbi proprio allora. Franco Pesci, architetto, ex dirigente della Roma Calcio. Il massimo che si possa desiderare in un uomo. Serietà, senso dell’umorismo, generosità. Era di una simpatia straordinaria, mio marito. Non posso parlare di lui, ci penso sempre. (Si commuove, sospira,
cambia segno al ricordo, cerca e trova una via d’uscita). Dal contratto con la Paramount mi liberò un suo colpo di genio.
Racconti.
Avrei dovuto interpretare Barbarella per la regia di Roger Vadim, ma dei ruoli da bellona svampita, di dire buongiorno e
buonasera in presa diretta in una lingua che non conoscevo e dei ritmi deliranti imposti dalla major non ne potevo più. Non mi divertivo. Così dissi no e con gli americani iniziò la rumba. Riunioni, minacce legali, avvocati sul piede di guerra. All’ennesimo consesso aspro, Franco vide una foto sul tavolo del produttore. Una bella famiglia. Moglie, bambini, scenari campestri sullo sfondo. Gli venne l’idea e parlò.
E cosa disse?
“Io e mia moglie vogliamo tre figli, ne abbiamo solo uno e da stasera stessa cercheremo il secondo”. Quelli sbiancarono. La discussione si era spostata sull’unico piano che li terrorizzasse davvero. Rimanere incinta significava rinunciare all’attrice e
interrompere la produzione per molti mesi. Mi liberarono e scelsero Jane Fonda.
Lei ha avuto un solo figlio, Corrado.
Peccato. Altri li ho persi e poi purtroppo non son più venuti. Il mondo è strano e come sempre, chi ha il pane non ha i denti.
C’è chi li fa, i figli, e poi li butta. All’unità dico che sia l’unica soluzione possibile, ma è stata quella che mi somigliava di più. C’era un vero affetto a casa nostra ed esistevano le priorità. Il lavoro non è mai stato l’unico motore dell’esistenza. Certe freddezze che avevo visto a casa di Dino De Laurentiis mi sconvolgevano. Silvana Mangano lo comandava a bacchetta. Lo chiamava per cognome e Dino, sottomesso, rispondeva come se niente fosse.
Memorie americane?
Li ho conosciuti tutti, i buoni e i cattivi. I simpatici e gli antipatici, gli sbruffoni, i cialtroni e gli inadeguati.
Partiamo dai simpatici?
Jack Lemmon, adorabile. Tony Curtis, bambina deliziosa sempre ammantata dai suoi cento spray. David Niven, uno straordinario signore.Frank Sinatra, circondato dalle guardie del corpo con improbabili cravatte a forma di telefono.
Sinatra la corteggiò?
Neanche un po’. Stava con Mia Farrow, era gentile, e aveva la voce più bella del mondo. Ma come tipo, insomma, non è che trasmettesse sogni di evasione. Però era simpatico e in mondo in cui gli insopportabili non mancavano, rappresentava comunque un’eccezione.
Era insopportabile anche Giorgio Strehler?
Lui era solo un grande regista dal carattere duro. Non mangiava mai e di conseguenza considerava irrilevante anche la nostra nutrizione. Mia madre, per non farmi svenire, mi portava di nascosto le banane. Giorgio aveva frequenti attacchi d’itterizia, ci tirava le sedie, imprecava, ci diceva di tutto.
Qualche nome tra gli insopportabili?
Sul set de La ragazza e il generale, ma già eravamo lontanissimi da Hollywood, Rod Steiger mi spezzò la caviglia con un calcio. Era geloso della simpatia che mi dimostravano i nostri compagni di lavoro e si vendicò a modo suo. Stavamo correndo sul ciglio di un ponte, in mezzo a un freddo cane e Steiger mi colpì per farmi inciampare. Nessuno si era reso conto di cosa fosse successo davvero, io mi feci due mesi di film con il gesso. Ho anche bellissimi ricordi, ma qualche stronzo sul set l’ho incontrato
pure io. Si è sentito bene stronzo? In caso contrario lo ripeto (ride).
Si è sentito.
Qualche compagno di avventura si rivelò sgradevole. Stanley Baker, nei mesi in cui aspettavo Corrado, prima di parlarmi a pochi centimetri dal viso non dimenticava mai di ingurgitare interi spicchi d’aglio. Joseph Losey, il regista di Eva , mi detestava. Anzi, da omosessuale represso e misogino, detestava le donne in generale. La lista dei mostri sarebbe lunga. Anche Eva poi era un film triste. Io avrei fatto solo commedie, ma i registi volevano vedermi piangere.
Le capita ancora di ridere?
Al cinema sempre di meno perché quelli che mi facevano ridere non ci sono più. Rimane la grandezza della vecchia scuola.
Totò, Dino Risi, Tognazzi, Manfredi.
Ho lavorato con tutti e quattro. Manfredi era bravo, ma dal vivo latitava nei guizzi memorabili. Tognazzi era simpatico. Dino Risi spiritoso, bello e intelligente. Totò invece sembrava estremamente confusionario, dimenticava le battute, andava a braccio. Io avevo studiato e non capivo come potesse presentarsi impreparato e rendere al contrario così tanto
La vecchia scuola, dicevamo.
L’altra notte per caso ho visto in tv un frammento di Proietti impegnato a spiegare tra gli imbarazzi il sesso ad alcuni ragazzi. Ho riso fino alle lacrime.
Nelle vecchia scuola sosta anche Giorgio Albertazzi. “Simmetrica senza scompensi. Non suscita nulla. Annoia come Piero Della Francesca” diceva di lei.
Ma dimme te, ma che ha detto così davvero? Lui è sempre troppo intelligente. Ama i cappelli, le sciarpe e le massime. A patto che ovviamente siano le sue. Quando arrivano a una certa età alcuni artisti non si sentono apprezzati e fanno di tutto per farsi notare.
Albertazzi non ha mai nascosto la sua simpatia per la destra.
E che problema c’è? Io non ho mai votato a sinistra in vita mia. Poi a costo di essere qualunquista vi dico la verità: destra, sinistra, centro, non so. Mi pare che una volta eletti i deputati facciano i cavolacci loro. Vanno in Parlamento e iniziano a mettere i soldi da parte per loro e per le generazioni a venire. Anche se nessuno mi ha mai chiesto cosa ne pensassi, l’ho sempre vista così. Non credo di essermi sbagliata di molto. I tempi sono atroci. Prima gli stupidi si limitavano a tacere. Adesso parlano e quel che è peggio, pensano. Se pensano anche gli stupidi siamo veramente nei casini.
È vero che le è simpatico Berlusconi?
Assolutamente no o almeno non in modo particolare. Ha sbagliato tante cose, non si è saputo gestire, si è fatto prendere in giro da
chiunque. Mai capito perché uno come lui, uno che poteva godersela veramente, sia sceso in politica andando incontro a processi e controprocessi. Io lavoro da una vita e continuo a lavorare, ma so benissimo perché lo faccio. Non ho messo una lira da parte e non ho alternative. E comunque l’Italia non ce la fa. Così come è ridotta non si riprende più. Siamo pieni di burocrati, di imbecilli che mettono un timbro in ufficio per giustificare la loro esistenza, di persecutori della ricchezza altrui in divisa d’ordinanza. Appena arriva una bella barca in un porto italiano, ecco Guardia di Finanza, Polizia e Carabinieri pronti ad assaltarla in
banchina. Poi dicono che i turisti fuggono. Io mi chiedo: perché mai dovrebbero rimanere in un Paese che dimentica di rispettare chiunque, iniziando dai suoi padri nobili?
A chi si riferisce?
Prenda Pietro Germi. Uno dei più grandi registi d’Italia, forse il più grande. Un solitario, un eretico, un genio. Gli avessero dedicato una strada, una piazza, un Festival. Niente. Non era comunista, è vero, ma com’è ’sto fatto che se uno è comunista lavora e se non lo è non lavora più?
Lei con Germi ha lavorato. Il film era Signore & Signori. Vincitore a Cannes nel 1966.
Gran film e set tutt’altro che divertente. Grandi tensioni, atmosfera un po’ cupa. Mi ricordo dello sceneggiatore Luciano Vincenzoni. Allegro da morire, ma appena c’era una donna in vista potevi star certo che lui le sarebbe saltato addosso.
A Cannes lei tornò per trionfare quasi trent’anni dopo.
Merito di Patrice Chèreau. Lessi il copione e in un attimo divenni la Regina Margot. Sedute interminabili di trucco, logorio durante la lavorazione, impegno folle. Anche se ero quasi irriconoscibile, il film di Patrice è una delle scommesse di cui vado più orgogliosa.
Nella sua seconda vita si è truccata spesso.
Incontravo registi che mi deformavano. Lattuada, per La Cicala, mi fece ingrassare quasi dieci chili. Vassoi di roba a ogni ora del giorno. Non facevo altro che mangiare. Tra una trasformazione e l’altra, però, non mi è mai venuto in mente di alterarmi i connotati. Fumavo un pacchetto e mezzo di sigarette al giorno e ho smesso, ma dal chirurgo plastico sono stata lontana. Chi varca la porta, si siede e si fa toccare non resta più lo stesso. Non covo narcisismi, ma a vedere la mia faccia e a riconoscermi
ancora nella persona di prima, tenevo.
Dopo 9 anni d’assenza dal cinema e moltissime fiction, il Commendatore dell’Ordine al Merito Lisi Virna torna sul set di Cristina Comencini per Latin Lover.
Si riderà. Cristina è una forza della natura e anche se sul set è terribile, le voglio molto bene. Terribile come? Ai limiti della nevrastenia. Con i jeans da ragazzina scaciata e la stessa grinta del padre, riesce a essere completamente diversa da come
è nella vita.
Luigi Comencini, altro dimenticato.
Regista sommo. Uomo meraviglioso. Un film così preciso sulla dinamica padre-figlio e sui sensi di colpa come Incompreso , la cinematografia italiana degli ultimi 60 anni non l’ha più prodotto.
Quest ’anno però con il film di Paolo Sorrentino l’Italia ha vinto l’Oscar.
Devo dire quello che penso?
Certo.
Il film di Sorrentino, La Grande bellezza, l’ho trovato orrendo. Una brutta copia de La dolce vita senza un solo spunto che fosse originale.
Non crede di esagerare?
Lo so che mi odieranno, ma non me ne frega niente. Dopo essermi sentita dire per una vita ‘conta fino a dieci prima di parlare’, non ho più recinti né obblighi. Mi sento libera. Il peggio che mi può capitare è che qualcuno non mi parli più. Non mi pare grave e forse è persino un contrappasso meritato.
Perché?
Anche io chiudo i rapporti da un momento all’altro. Se sento odore di cattiveria gratuita, cancello dal mio orizzonte le persone – anche quelle frequentate a lungo – e faccio finta di non averle mai conosciute. In questa pratica ho un vero talento. Sono bravissima. E non mi pento mai.
di Malcom Pagani e Fabrizio Corallo
Dal Fatto Quotidiano del 28 settembre 2014