Un amico mi raccontò che quando annunciò al padre che avrebbe voluto fare l’editore, gli rispose: “Ma non ti potevi drogare come tutti gli altri ragazzi?”.
Oggi, in Italia, fare questo lavoro richiede una grande dose di passione e un forte spirito di sacrificio, specie se si vuole restare indipendenti. Per quanto mi riguarda, indipendenza non è sinonimo di imparzialità. La nostra linea editoriale è assolutamente di parte, dalla parte di coloro che si battono per costruire giustizia e pace sociale, dalla parte di chi agisce per il cambiamento. Indipendenza va intesa come libertà di non essere succubi del partito di turno che magari ti promette qualche finanziamento o qualche recensione su giornali amici. Le difficoltà aumentano se poi con i libri non solo non si accettano compromessi, ma si denuncia.
Nel nostro Paese sembra quasi impossibile far capire che la vera libertà consiste nel stare dalla parte dei lettori. Ma come dicevo non è facile, anzi… il mercato editoriale è un settore delicato, “la fabbrica del consenso” nasce proprio con i libri, infatti sono pochi i gruppi editoriali che controllano la quasi totalità del settore. Posseggono le tipografie dove si stampano i libri, la distribuzione con cui li veicolano, le librerie dove se li vendono e i giornali dove si pubblicano le recensioni. In un tal sistema gli spazi che restano sono pochi.
Tuttavia, nel nostro Paese ci sono tanti editori che resistono e realizzano pubblicazioni lodevoli. Il mio invito è cercali sul web, acquistare direttamente sul loro sito. Troppe volte alle fiere persone ti avvicinano e ti rivolgono una miriade di complimenti per il “coraggio” (a mio avviso essere fedele alle proprie idee non significa essere coraggiosi) e poi vanno via senza acquistare. Per non parlare del salone del libro di Torino dove assisti a scene paradossali di persone che pagano il biglietto d’ingresso e poi vanno a comprare allo stand Mondadori o Feltrinelli.
Oggi, nel nostro Paese in cui domina un pensiero unico, credo che sia sempre più importante esprimere il proprio dissenso. Dissenso
Occorre riappropriarsi del termine “politica”, per troppo tempo l’abbiamo lasciato a vergognosi uomini politici e a potentati economico/finanziari che oramai usano i primi come marionette. Dal basso occorre ricominciare a fare politica, una politica intesa alla don Lorenzo Milani: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia”.
A me non piace il termine editore. Il termine editore si riferisce al solo freddo aspetto commerciale del lavoro, non è un termine esaustivo. A mio avviso, pubblicare libri è qualcosa di più importante, è una magia. Se avessi avuto il guadagno come priorità, avrei aperto un negozio di cellulari o, restando nell’ambito editoriale, avrei pubblicato libri di calciatori. I libri sono idee che camminano con noi e che cambiano il nostro modo di essere e di pensare. Non sono come i cellulari o l’ultimo paio di occhiali alla moda. Occorre stare attenti perché quelle parole su carta poi ce le troviamo nei discorsi, nelle scelte commerciali e al momento di votare. I libri anche se sono fatti in serie come le lattine della Coca Cola, sono oggetti unici per questo al termine editore preferisco artigiano.
Come si fa a paragonare la vendita di cellulari con dei libri come “Il ramarro verde” di Michele Riva, malato di Sla che l’ha scritto grazie a un computer speciale con il solo movimento degli occhi? Come si può equiparare la vendita di occhiali da sole con il libro di un altro uomo speciale che è Enio Mancini, unico superstite ad aver scritto dopo 70 anni un libro sull’eccidio nazista di S. Anna di Stazzema?
Io, come tanti miei colleghi, non ho avuto la “fortuna” di Marina Berlusconi che ha ereditato la Mondadori, una potente casa editrice che pubblica migliaia di novità all’anno e che si può permettere l’acquisto dei migliori titoli stranieri e degli autori italiani. Ma i sogni non si possono ereditare, si possono solo realizzare credendoci fino in fondo.