Col solito tono falsamente efficientista Matteo Renzi si è affrettato ad annunciare l’allungamento delle pene e dei termini di prescrizione per i reati di corruzione. Ben vengano e vedremo se e in che misura saranno apportate le necessarie modifiche alla legislazione applicabile. Ma occorre prendere in considerazione anche il contesto che ha favorito la profonda crisi della democrazia che è causa ed effetto al tempo stesso della corruzione e delle infiltrazioni mafiose.
Innanzitutto, sul piano legislativo, vanno apportate anche e soprattutto le modifiche suggerite da Pignatone cui ho fatto riferimento nel mio precedente post dedicato all’argomento e cioè: “Modifica della prescrizione e del falso in bilancio, introduzione dell’autoriciclaggio, eventuale revisione della disciplina della corruzione e del trattamento penale delle violazioni tributarie; soprattutto, una maggiore celerità ed efficienza delle procedure”. Nonché “prevedere, come per i collaboratori di giustizia nei processi di mafia, meccanismi premiali per il corruttore o per il corrotto che entro un certo periodo di tempo, anche dopo l’inizio delle indagini, denunzi l’avvenuta consumazione del reato fornendo elementi per la punizione della sua controparte”.
Come si vede, l’annuncio di Renzi riguarda solo uno dei vari aspetti enunciati dal Procuratore Capo di Roma. E gli altri? Si aggiunga che il venir meno nel jobs act delle garanzie legislative nei confronti dei lavoratori dipendenti, specie l’art. 18, ne aumenta la ricattibilità, rendendo improbabili le denunce delle attività, anche illegali o corruttive, di gruppi di potere pubblici o privati.
Ma non basta. Occorre anche interrogarsi sulle determinanti di fondo che hanno favorito l’azione disgregatrice e corruttrice delle mafie. In primo luogo, la cosiddetta “fine delle ideologie” che ha significato in realtà l’abbandono di sacrosanti principi cui si ispiravano quantomeno taluni partiti, consentendo il proliferare di una nuova ideologia bipartisan basata sul potere del denaro e delle affiliazioni personali a gruppi di potere certamente “non ideologici” in senso classico. Basti pensare all’abisso che divide il Pci di Berlinguer, Argan e Petroselli dall’attuale Partito Democratico.
La seconda determinante attiene al rapporto di forza tra istituzioni e privati, che consente ai secondi di fare i propri comodi, sia che essi si presentino sotto le vesti inquietanti di Mafia Capitale, che sotto quelle in fondo non troppo migliori di evasori fiscali o soggetti che, seppure inadempienti, continuano ad imporre i loro voleri al pubblico, forti di norme vaghe e sbilanciate e dell’operato di funzionari a volte ben poco o, a seconda dei punti di vista, troppo zelanti. Il tutto con la scusa di un’emergenza oramai divenuta abituale che consente di aggirare controlli e procedure stabilite a tutela dell’interesse pubblico. Un esempio di tale situazione è fornito dalla realizzazione della Metro C, che ha visto un progressivo slittamento dei termini di realizzazione e un altrettanto progressivo rigonfiamento dei costi da pagare da parte dell’erario. Una vicenda senza dubbio da approfondire, anche per l’inusitata celerità con la quale taluni organi, come l’Avvocatura comunale, si sono pronunciati con pareri favorevoli alle richieste dei privati. Ma molti altri esempi potrebbero essere fatti.
In terzo luogo occorre abbandonare una volta per tutte la logica perversa delle grandi opere e dei grandi eventi. Ma la scelta dissennata di proporre Roma per le Olimpiadi sembra che si voglia perseverare in questo errore.
La quarta e non meno importante determinante è poi costituita dal protagonismo dei cittadini. Particolarmente importante a tale riguardo la partecipazione dei migranti, la nuova componente della popolazione romana che dai mafiosi venivano visti solo come occasione di proventi. Vale la pena di ricordare a tale riguardo che il vero e proprio pogrom contro i richiedenti asilo di Tor Sapienza, che sarebbe stato organizzato, oltreché per promuovere le politiche razziste e discriminatorie, per esercitare pressioni nei confronti dei concorrenti della banda Carminati/Buzzi.
Il tema è stato analizzato dall’antropologa e militante antirazzista Annamaria Rivera, la quale sostiene giustamente che “la cupola fascio-mafiosa ha saputo profittare della tendenza istituzionale a tradurre in termini di emergenze quelli che, in un paese normale, sarebbero semplicemente bisogni e diritti. Così, lasciando incancrenire, per insipienza o intenzionale disegno, le emergenze riguardanti non solo migranti, rifugiati, rom, ma anche periferie, casa, rifiuti, trasporti, salute, si è permesso alla cupola di allungare i suoi tentacoli sui relativi appalti”.
Mafia, corruzione e razzismo sono quindi tre facce della stessa immonda medaglia e prosperano all’unisono per effetto della crisi degli ideali di bene comune, interesse pubblico, democrazia ed uguaglianza, affondati dall’affarismo bipartisan che sembra essere diventato la cifra distintiva della nostra degenerata classe politica di governo.