Spaghetti Juke Joint è il disco numero 18 per Fabrizio Poggi, cantante e armonicista premio Oscar Hohner Harmonicas e candidato ai Blues Music Awards 2014 (gli Oscar del blues). Con questo nuovo disco, il bluesman scatta un’istantanea sonora di quella che è l’attuale formazione della sua storica band, i Chicken Mambo, una formazione che eccelle per energia, talento e grande esperienza e composta oggi da Enrico Polverari, Tino Capelletti e Gino Carravieri.
Registrato tra l’Italia e gli States, questo nuovo lavoro “è per me un po’ un ritorno alle origini, a quella musica che mi ha profondamente influenzato nei primi anni della mia carriera musicale iniziata quasi quarant’anni fa – racconta Fabrizio Poggi – e che mi ha portato spesso a esibirmi oltreoceano su palchi prestigiosi e in compagnia di illustri comprimari diventando pur senza volerlo il bluesman italiano più conosciuto negli Stati Uniti”.
Il titolo dell’album vuole essere un omaggio a quegli italiani che alla fine dell’Ottocento, inseguendo un tragico sogno, andarono a raccogliere il cotone al fianco dei neri nelle piantagioni del Mississippi, lottando strenuamente contro zanzare, inondazioni e pregiudizi razziali. Loro erano là quando gli afroamericani crearono il blues. E chissà: magari come narra una leggenda qualche italiano aprì davvero un juke joint (le bettole dove è nato il blues) da qualche parte tra i campi di cotone del Mississippi.
Il disco segna un ritorno al rock blues di Freddy King, Canned Heat, Johnny Winter e ZZ Top, alle sonorità southern degli Allman Brothers Band, al british blues di John Mayall e al variegato mondo musicale di New Orleans senza dimenticare il sound classico di Muddy Waters, Howlin’ Wolf e Sonny Boy Williamson. Al suo fianco, anche tre ospiti di grande caratura, ciascuno leggendario a modo suo: Sonny Landreth considerato a ragione il numero uno della chitarra slide con il suo stile originale e inconfondibile, Ronnie Earl uno dei più grandi chitarristi blues di tutti i tempi eletto chitarrista dell’anno 2014, e Bob Margolin per anni al fianco di Muddy Waters nei dischi storici prodotti da Johnny Winter e sui palchi di mezzo mondo compreso quello di The Last Waltz.
Riguardo alle canzoni, Bye Bye Bird, è “una canzone del mio armonicista prediletto Rice Miller meglio conosciuto come Sonny Boy Williamson. L’intro è suonato con una vecchia armonica inventata quasi cento anni fa e estremamente affascinante per il suo suono caldo e pastoso. L’arrangiamento è un omaggio John Lee Hooker passando per Canned Heat e ZZ Top”.
King Bee è un grande classico dello swamp blues, ovvero del blues delle paludi, di un cantante armonicista troppo spesso dimenticato. Slim Harpo ha scritto classici diventati immortali. Questo brano è forse conosciuto per la celebre versione di Muddy Waters. “Noi l’abbiamo completamente reinventata grazie a un efficace arrangiamento chitarristico di Enrico Polverari che l’ha trasformata in un tour de force di marca southern in cui la slide guitar di Sonny Landreth fa davvero faville”.
Per The Blues is Alright, Poggi ha quasi completamente riscritto il testo di brano di Little Milton in cui compare Ronnie Earl: “Ho mantenuto il celebre ritornello e ho aggiunto quello che è per me l’essenza del blues. Ecco le parole che ho scritto e che canto: ‘Il blues è un miracolo, il blues è guarigione, il blues è una medicina che consola la tua anima. Il blues è la madre, il blues è la radice. Non importa dove tu sia nato, la lingua che parli, o il colore della tua pelle perché il blues, è per tutti”.
Devil at the crossroad: in Mississippi c’è un diavolo a ogni incrocio. A ogni crocicchio: “Questa canzone parla di quella volta che ne ho incontrato uno. Capita a tutti prima o poi di incontrare un diavolo nella vita e il blues a volte serve per mandarlo via. Il brano è un omaggio, seppur indiretto, a Robert Johnson”.
Mistery Train racconta di quel treno misterioso che passava per Memphis e si diceva che portasse via le più belle ragazze della città. Lo cantava Junior Parker nel lontano 1953: “E’ un brano che suono da tantissimi anni, ma che non avevo mai registrato. Sono particolarmente legato a questo brano che in qualche modo chiude un cerchio iniziato tanti anni fa quando vidi per la prima volta al cinema The Last Waltz, il film d’addio di The Bande venni folgorato dall’incredibile suono dell’armonica di Paul Butterfield che suonava proprio Mistery Train. Non avevo mai sentito quello strumento suonare in un modo così emozionante. Il giorno dopo andai subito a comprarmi un’armonica”.
Way down in the Hole è un brano di Tom Waits: “Ci sono buchi profondi sulle strade della vita e bisogna stare attenti a non caderci dentro. Perché poi uscirne è davvero difficile e io ne so qualcosa. L’ho suonata spesso dal vivo con i Blind Boys quindi mi è venuto naturale includerla nell’album”.
Checkin’ upon my Baby di Sonny Boy Williamson: “Credo che questa sia la prima canzone ho imparato a suonare con l’armonica ed è la canzone che ho suonato sulla sua tomba sperduta tra i campi di cotone del Mississippi”.
One Kind Favor è una canzone che ha quasi cent’anni, o forse di più. La cantava un texano cieco che si chiamava Blind Lemon Jefferson. “Avevo registrato questo brano con Guy Davis in Juba dance il disco che abbiamo fatto insieme e ho subito pensato che mi sarebbe piaciuto farne una mia versione pensando a come l’avrebbero suonata i musicisti creoli di New Orleans”.
Mojo è un dichiarato omaggio al celebre brano di Muddy Waters: “E’ una canzone in qualche modo tutta mia a partire dall’arrangiamento funky soul
Nobody invece è un brano la cui origine si perde nella notte dei tempi, da cui è scaturito il celebre spiritual che Blind Willie Johnson cantava nel cuore nero del Texas nel 1930. “Questa è una versione ‘secolare’ – racconta Fabrizio – in cui i temi spirituali si trasformano in uno dei soggetti più cari al blues: l’amore tradito, l’amore che fugge, il richiamo della strada e la vita stessa dei bluesmen sempre in viaggio dal cassone di un camion all’altro e attaccati ai respingenti dei vagoni merci. E poi la solitudine, la vera compagna di viaggio di questi errabondi musicisti”.
I want my Baby è un sentito omaggio a Bo Diddley e al suo contagioso e inconfondibile ritmo. “Il brano è un ottimo showcase per la chitarra slide di Claudio Bazzari, ma soprattutto per un vero poeta dei tamburi: il nostro batterista Gino Carravieri che con il bassista Tino Cappelletti è davvero il cuore pulsante della band”.
Bonus track è Baby Please Don’t Go di Big Joe Williams: “Anche questa è una canzone che ho suonato tante volte in giro per il mondo con Guy Davis. Non doveva nemmeno finire sull’album. La stavamo suonando per riscaldare gli strumenti e il fonico l’ha registrata. Quando ce l’ha fatta riascoltare ci è piaciuta al punto che abbiamo deciso di aggiungerla come bonus track. Il sound è davvero molto sixties tra Canned Head e John Mayall. E c’è un pizzico di Doors grazie al suono acido e psichedelico dell’organo di Claudio Noseda”.