La candidatura alle Olimpiadi del 2024, appena annunciata da Matteo Renzi, cade nel momento in cui arriva una nuova tegola sull’immagine sempre più sbiadita dell’Italia nel mondo. I gufi non c’entrano neppure stavolta. A testimoniare il declino della reputazione del “marchio” Italia è infatti il nuovo rapporto Country Brand Index, che ha misurato anche quest’anno l’appeal del brand Paese di 77 nazioni. Ebbene, la Penisola, che nel 2006 era in vetta alla classifica mondiale, è scesa al 18esimo posto, perdendo altre tre posizioni rispetto al 2013. La fotografia scattata dai 2.530 opinion maker intervistati restituisce un Paese fermo, che non compie alcun progresso. A differenza, per esempio, della Germania, che passa dal settimo al terzp posto. O del Giappone, che scalza dal gradino più alto del podio la Svizzera e appare un contesto unico e irripetibile, capace come nessun altro di coniugare cultura, tradizione e modernità.

I dati raccolti da Future brand sulla percezione dell’immagine del nostro Paese sono, per certi aspetti, disarmanti: per la gran parte degli intervistati l’Italia ha un sistema di valori sempre più opaco, non è attrattiva per gli investimenti e in generale per fare affari, non ha infrastrutture e dotazioni tecnologiche adeguate e non è una buona destinazione per venirci a studiare. Ciò che sorprende, inoltre, è che solo una minoranza del campione identifichi l’Italia come un luogo ideale dove vivere. D’altra parte circa l’80% degli intervistati non associa il Belpaese a fattori come la qualità della vita, la salute, l’istruzione, la sicurezza, il rispetto per l’ambiente e la tolleranza. E secondo gli opinion maker l’Italia è penalizzata anche da una cattiva gestione politica.

brand italiaAnche la percezione positiva rispetto al tradizionale cavallo di battaglia rappresentato dal made in Italy è nettamente inferiore alle aspettative: il desiderio di comprare un prodotto italiano e l’idea che qui si facciano prodotti autentici, unici e di alta qualità non spiccano in modo netto. Il “mito” intorno al quale abbiamo costruito le nostre fortune negli scorsi decenni, insomma, nella valutazione del resto del mondo si sta appannando.

Alla domanda “in che ambito è maggiormente esperta l’Italia?”, le risposte assegnano punteggi largamente sotto la media alle voci “tecnologia” (13%), “media” (12%), “servizi internet” (6%), “energia” (7%), “servizi finanziari” (9%) e “trasporti” (14%). Spicchiamo in pochi ambiti: “moda” (65%), “food” (65%) e “lusso” (47%), che costituiscono il perno del nostro tutt’ora grande appeal turistico. “Il turismo – si legge nel focus dedicato all’Italia – continua a essere un fattore attrattivo fondamentale, siamo i primi nel mondo, aiutati dal food e dai nostri tesori, che insieme invitano alla visita”. Ma la proiezione turistica del Paese – spiega il Country Brand Index – è fortemente incrinata da disorganizzazione, inaffidabilità, furbizia, trasandatezza. Mancano elementi fondamentali come la qualità diffusa, la creatività nell’accoglienza e la cura relazionale. E questo spiega perché il “value for money” della nostra industria turistica è sceso di quasi 30 posizioni, passando dal 28esimo al 57esimo posto.

Sul risultato incide naturalmente anche il caos istituzionale e di governance che da anni regna attorno al turismo e che negli ultimi mesi è ulteriormente aumentato. Perché Enit, commissariata sei mesi fa, è in stand by, la promozione all’estero del brand Italia è da settimane in stallo e Italia.it, il portale di promozione turistica costato 22 milioni di euro, è nel limbo. E nella bozza di statuto del nuovo ente di promozione nel mondo delle nostre eccellenze, l‘elemento più innovativo è rappresentato dalla possibilità, per il consiglio di amministrazione, di svolgere riunioni a distanza. “Sempre che tutti i componenti – si legge nel documento – possano identificarsi”.

@albcrepaldi

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