Chi ha comprato il Parma calcio? Potrebbe essere chiunque: una cordata di imprenditori seri e milionari o, per assurdo, loschi faccendieri legati persino alla criminalità organizzata. Perché in Italia non esiste una legge sportiva che regoli la compravendita delle società di calcio. E neppure una norma che obblighi a dichiarare i nomi dei proprietari. La Lega e la Federazione si accontentano di conoscere i componenti del consiglio di amministrazione del club. “Al momento dell’iscrizione una società deve indicare presidente e organigramma societario, ma questi dirigenti possono non coincidere con gli azionisti della società che ha acquistato la squadra” spiega a ilfattoquotidiano.it Cesare Di Cintio, avvocato esperto di diritto e economia sportiva. “Ancora una volta il nostro calcio è molto indietro, anche dal punto di vista normativo”. Insomma, può bastare la firma di un prestanome, o comunque di un rappresentante di fiducia, per detenere un club di calcio senza comparire. E senza che nessuno verifichi l’origine e l’appartenenza dei soldi. Appunto quello che sta succedendo a Parma.
Non che si tratti di un caso isolato, del resto. Basta spostarsi un po’ più in giù nella Penisola per averne la dimostrazione: a Bari lo scorso maggio Gianluca Paparesta si aggiudicava l’asta per il titolo della società biancorossa, con un’offerta di 4,8 milioni per conto di una cordata non meglio identificata. Sono passati sette mesi e ancora in Puglia non si ha la più pallida idea di quali siano i soci dell’ex arbitro, oggi presidente del Galletto. Un copione che rischia di andare in scena anche in Emilia. Per il momento si conosce solo il nome del presidente pro tempore, l’avvocato Fabio Giordano, e della holding fantasma che ha acquistato il titolo, la Dastraso. Ma sulla provenienza dei soldi di questa società che lavora nell’estrazione del petrolio, ha capitale russo-cipriota e vanterebbe un fatturato di due miliardi annui, nessuna certezza. Si è parlato di Suleiman Kerimov, oligarca russo proprietario dell’Anzhi. E di Rezart Taci, chiacchierato petroliere albanese (ai cui presunti crimini è anche dedicato un sito web). Per ora un patto di riservatezza lascia i soci avvolti nel mistero. I tifosi del Parma possono solo augurarsi di aver trovato una nuova proprietà affidabile. E pulita.
La crisi del calcio e dell’economia italiana ha moltiplicato i passaggi di proprietà negli ultimi mesi. I casi più illustri sono quelli della Roma a stelle e strisce e dell’Inter ceduta da Moratti all’indonesiano Erick Thohir. Ma ci sono anche il Bologna (acquistato dall’americano Tacopina), il Venezia dei russi, da poco si sono aggiunti Bari e Parma. E quando ci si allontana dalle luci dei riflettori, aumenta il rischio di speculazioni o acquisizioni poco limpide. Senza controlli. A Brescia, ad esempio, il passaggio della società a una cordata pakistana è saltato solo perché Ubi Banca (principale creditore delle Rondinelle, di fatto in amministrazione controllata) non ci ha visto giusto nel progetto presentato dagli acquirenti. Manca un sistema di garanzia, come invece avviene in Inghilterra. Qui non soltanto c’è l’obbligo di rivelare i nomi dei proprietari, ma nel 2004 la Premier League ha introdotto il cosiddetto “fit-and-proper-person test” per evitare la corruzione e la mala-gestione delle società di calcio. Chiunque svolge un ruolo dirigenziale o detiene una quota proprietaria superiore al 30% deve passare dall’esame di un’apposita commissione. E se non lo supera viene squalificato e allontanato dal calcio inglese. I requisiti sono abbastanza severi: non è possibile avere interessi in un altro club calcistico, non bisogna essere stati interdetti dalla legge per il ruolo di dirigente, né avere condanne per bancarotta, o essere stati coinvolti per più di una volta in un caso di fallimento.
Lo sa bene Massimo Cellino: l’ex presidente del Cagliari non ha avuto vita facile da quando si è trasferito in Inghilterra con l’acquisto del Leeds. La Football League gli contesta una condanna di primo grado per evasione fiscale ricevuta in Italia, e lo tratta alla stregua di un bandito. Eppure l’imprenditore sardo non sarà uno stinco di santo (nel 2013 è stato anche arrestato con l’accusa di tentato peculato e falso ideologico nell’ambito dell’inchiesta sui lavori allo stadio di Is Arenas), ma certo non ha la pericolosità che potrebbero avere per il mondo del pallone proprietà legate ad oligarchi chiacchierati o avventurieri misteriosi. Quello che appunto sta accadendo in Italia. Per questo il nostro Paese dovrebbe guardare all’Inghilterra. “È in atto un ricambio delle proprietà molto veloce che rischia di mettere in pericolo gli equilibri e l’integrità del sistema calcio italiano” afferma l’avvocato Di Cintio. “Serve un intervento normativo che garantisca trasparenza, e la creazione di una commissione che valuti la solidità finanziaria e morale degli acquirenti. Una soluzione transitoria potrebbe essere estendere i poteri della Covisoc (l’organo contabile del pallone, nda), sul modello del board inglese”.
A ben vedere, però, importare in Italia il fit-and-proper-test potrebbe creare più di un problema alle proprietà. E non solo alle future, anche a quelle presenti. Stanti i requisiti fissati dalla Premier League, sicuramente Claudio Lotito (che ha interessi nella Salernitana in Lega Pro) non potrebbe fare il presidente della Lazio. Né Enrico Preziosi potrebbe esserlo del Genoa, per il coinvolgimento nel fallimento del Como ad inizio Anni Duemila, o la condanna di primo grado per evasione fiscale. E magari un’eventuale commissione avrebbe qualcosa da ridire anche sulla presidenza di Antonino Pulvirenti a Catania, vista la gestione della compagnia aerea Wind jet, più volte sull’orlo del fallimento; o sui Della Valle a Firenze, coinvolti nello scandalo Calciopoli e salvati dalla prescrizione dopo una condanna in primo grado per frode sportiva. Senza dimenticare ovviamente Silvio Berlusconi, proprietario del Milan e condannato in via definitiva per frode fiscale e falso in bilancio nel Processo Mediaset. Forse il calcio italiano non è ancora pronto per tutta questa trasparenza.