Una 16a giornata con gol spettacolari conclude un anno poco entusiasmante. La Juventus ha nuovamente allungato sulla Roma. La lotta per il terzo posto, apertissima, caratterizzata dai pareggi. Deludono i grandi ritorni in panchina, Zeman e Mancini
Per Natale la Serie A regala ai suoi tifosi una giornata speciale: con tantissimi gol (alcuni meravigliosi, come quelli di Vazquez e Kovacic), partite emozionanti e combattute fino all’ultimo. In classifica, però, non cambia quasi nulla. Grazie ai risultati degli anticipi la Juventus non soltanto chiude l’anno in testa, ma allunga anche il distacco sulla Roma, fermata dal Milan e troppo concentrata sulle polemiche arbitrali per accorgersi che qualcosa si è inceppato nella macchina di Garcia. Adesso Allegri può finire un 2014 da incorniciare vincendo la Supercoppa in Qatar. Nella lotta più serrata, invece, quella per il terzo posto, il sedicesimo turno conta solo occasioni mancate. La più grande, forse, la perde l’Inter nel posticipo: i nerazzurri avrebbero potuto accorciare la distanza dalla Champions League. Invece contro la Lazio arriva solo un pareggio, anche positivo visto il doppio svantaggio iniziale, comunque inutile. Perde il Genoa a Torino, pareggia in casa la Sampdoria contro l’Udinese e la Fiorentina nel derby toscano con l’Empoli. Allora, oltre il Napoli (comodo successo giovedì sul Parma), sorride soprattutto il Milan: perché nel calcio un pareggio vale sempre un punto, ma è più prezioso se ottenuto fuori casa, sul campo della Roma e in inferiorità numerica.
Il buono Giusto in tempo per iscriversi al premio di più bel gol del 2014. Franco Vazquez e Mateo Kovacic regalano gioielli a Palermo e Inter. L’argentino è l’ennesimo talento pescato in Argentina da Zamparini, il croato l’unico faro nel buio del gioco nerazzurro. Entrambi non amano troppo le parole (Vazquez non a caso è soprannominato “El Mudo”) ma fanno parlare in campo la palla. Un pallonetto millimetrico sotto l’incrocio, una sventola al volo dal limite dell’area. Precisione e potenza, classe come se ne vede poca ormai nel nostro campionato. E chissà per quanto ci rimarranno Vazquez e Kovacic. Intanto Palermo e Inter si godono i loro gol, senza però riuscire a capitalizzarli fino in fondo. Di reti, invece, ne ha segnate poche in carriera Kamil Glik: di ruolo farebbe il difensore. Ma il totem polacco è anche capitano del Torino, e nel momento più difficile si è caricato in spalla i suoi compagni, facendo le veci di un attacco abulico e trascinando i granata alla vittoria: doppietta al Genoa e astinenza dalla vittoria (che durava da sei partite) interrotta. Come fanno i capitani veri.
Il brutto A Roma tante parole sul rigore non dato per il mani di De Jong, troppo poche sui veri motivi dello 0-0 casalingo contro il Milan. L’episodio in presa diretta non era poi così facile da valutare (come del resto l’espulsione di Armero, su cui invece Rizzoli ha deciso in favore dei giallorossi); e soprattutto distoglie l’attenzione sui problemi della squadra. Alla Roma brucia ancora la ferita dei torti subiti nello scontro diretto di Torino. Ma da quella partita sono passati tre mesi e cambiate tante cose: in primis lo stato di forma della squadra, che non è più quello d’inizio stagione. Garcia ritrovi la sua Roma e potrà giocarsi il titolo. Altrimenti non sarà solo un rigore non fischiato a decidere le sorti del campionato.
Dietro le grandi, invece, si conferma una legge inesorabile del calcio: quando una squadra di provincia disputa un grande campionato, l’anno dopo fa fatica a ripetersi. Era successo in passato a Empoli e Sampdoria (tanto per citare due casi eclatanti), questa stagione non fa eccezione: dopo il Parma, precipitato dal sogno europeo all’incubo retrocessione, e le difficoltà del Torino, adesso anche il Verona paga lo scotto dell’exploit della scorsa stagione. Le cessioni di Jorginho, Romulo e Iturbe sono state più dolorose del previsto. E Mandorlini sembra aver perso il bandolo della matassa. La sconfitta nel derby contro il Chievo fa scivolare l’Hellas nelle parti basse della classifica. La zona retrocessione dista ancora cinque punti. Ma a questo punto meglio guardarsi le spalle: i miracoli in provincia non si ripetono.
Il cattivo Zdenek Zeman rischia di non mangiare il panettone. Sono ore decisive per la panchina del Cagliari: ieri sera il dg Marroccu ha parlato di “ottimo rapporto” col tecnico boemo, ma entrambe le parti sembrano avere dubbi sul futuro. La società guarda con preoccupazione ai risultati, l’allenatore potrebbe addirittura considerare le dimissioni. Perché lui “non gioca per la salvezza”. Ma la permanenza in Serie A è un obiettivo troppo prezioso per il presidente Giulini. Problemi anche a Milano, sponda nerazzurra. È tornato Mancini, ed è tornata la pazza Inter che ha fatto disperare e innamorare i tifosi: contro la Lazio un primo tempo imbarazzante ed il secondo trascinante. Il risultato, però, è un pareggio che vale quasi nulla in ottica terzo posto. E il tecnico di Jesi stavolta siede sul banco degli imputati: perché non basta il merito di aver ridato entusiasmo all’ambiente e animo alla squadra. La formazione scesa in campo ieri era tatticamente impresentabile, e anche difficile da concepire, con un doppio terzino a sinistra (Dodò e Nagatomo, uno più spaesato dell’altro), reparti scollegati, moduli indecifrabili. L’Inter è partita a handicap ed è riuscita a rimontare solo in parte il doppio svantaggio. Ma resta il rimpianto per un primo tempo sciagurato. E per l’ennesima occasione persa di questo 2014. Per fortuna dell’Inter è finito. Auguri ai nerazzurri e al resto della Serie A: in fondo un po’ tutto il calcio italiano avrebbe bisogno che il prossimo anno sia migliore di quello appena concluso.
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