Esclusivo - Dalle carte dell'inchiesta dell'Aquila sul gruppo neofascista, il testo integrale della Carta studiata dell'ex repubblichino Rutilio Sermonti. Che fra passaggi folli strizza l'occhio ai malumori anti-Casta: "Gli appalti? Al lavoro il Genio civile"
“La nazione italiana è una realtà unitaria morale, politica ed economica insieme, superiore per potenza e durata a quella degli individui che la compongono…”. Quando il 24 agosto scorso Rutilio Sermonti, il novello padre costituente, per il suo 94esimo compleanno riceve in dono la tessera numero 1 del “Nuovo fronte politico italiano”, ha già in mente la futura Costituzione. Una Carta che in tema di “corruzione” e lotta alla “casta” sembra scritta per raccogliere malumori e i mal di pancia. Quello sulla “nazione italiana” è il primo articolo e al punto nove delle 12 disposizioni transitorie, Sermonti stabilisce che sarà “soppressa la Corte Costituzionale, fonte di perenne incertezza del diritto”.
I due carabinieri infiltrati dal Ros hanno imparato a conoscere il carisma di Sermonti nell’organizzazione. Da mesi raccolgono prove sulla effettiva pericolosità del gruppo, sull’effettiva disponibilità di armi, segnalando che sempre più spesso, nelle riunioni, quelle senza Sermonti, c’è gente che si presenta con armi da fuoco al seguito. Sarà pure folle, l’idea di redigere gli 85 articoli della nuova Costituzione, ma non è uno scherzo. Anzi. Nella traiettoria del “doppio binario” – quello ideologico e quello armato-rivoluzionario – Sermonti svolge il ruolo del padre nobile, lui che aveva sposato la causa di Ordine Nuovo, quello vero, in cui però non era una figura di primissimo piano, e in precedenza aveva aderito alla Repubblica di Salò. Oggi è accusato di essere tra i “promotori e gli ideatori di atti violenti” del presunto gruppo eversivo anche “per aver elaborato il progetto ideologico e la nuova Costituzione Italiana, sollecitando gli altri attraverso la divulgazione di idee rivoluzionarie, azioni di aggressione e la presa del potere”. Il gruppo può rifarsi ai suoi scritti e ai suoi articoli, come il quinto, nel quale “la Repubblica misconosce il concetto di diritti politici…”, mentre il 7 vieta “ogni forma di propaganda elettorale” e il 15 si occupa delle donne, stabilendo che “lo Stato considera aberrante qualsiasi iniziativa diretta a indurre e a facilitare, alla parte femminile della popolazione, un crescente accesso alle attività economiche retribuite”. Non per sminuire l’altra metà del cielo, ma perché “cura primaria dello Stato dovrà essere l’esaltazione e la nobilitazione – anche tecnica – della funzione casalinga”.
Il suo carisma nel gruppo di estrema destra è ritenuto funzionale ai progetti di Manni, che lo incontra per la prima volta il 19 gennaio 2014, ed è un profluvio di “ave” per Sermonti, l’uomo che – annota il gip – nel 1942 partecipa da volontario alla seconda guerra mondiale come sottufficiale del Regio Esercito e, dopo l’8 settembre del 1943, aderisce alla Repubblica Sociale Italiana come ufficiale del Battaglione San Marco e infine, nel dopoguerra esercita la professione forense. Un vecchietto inoffensivo? Ecco le sue parole quando viene intercettato con Manni: ritiene sufficiente l’azione di “pochi uomini, decisi, poco visibili, molto mobili, coraggiosi”e ammette l’aspirazione dei suoi ultimi anni. “Fatemi vedere germogliare tutta la fatica, voglio riuscire a crepare avendo visto un lampo di questa nuova luce”.
Rutilio Sermonti sembra aver fatto meno strada dei fratelli. Giuseppe, biologo “antidarwiniano” e soprattutto Vittorio, noto studioso di Dante e marito di Samaritana Rattazzi, a sua volta figlia di Susanna Agnelli: uno dei loro figli, Pietro, è un noto attore. L’anziano repubblichino non ha mai abbandonato la fede politica che già mezzo secolo fa l’aveva portato a scrivere una “Costituzione per lo Stato dell’Ordine Nuovo”, pubblicata sulla rivista fondata da Pino Rauti. Ora ha trovato nuovi adepti, è spesso ospite dei giovani militanti di Casa Pound, in Abruzzo e non solo. E adegua norme e linguaggio all’insofferenza dilagante.
È “lucidissimo” dice di lui Manni. Lucidi sono i riferimenti agli sprechi e alla corruzione con i quali, par di capire, punta a raccogliere consensi per lo Stato che verrà. “La Capitale, Roma, dovrà essere dotata di uno stabile architettonicamente pregevole, adorno d’opere d’arte e splendide sale, ambulacri e giardini… destinato al ricevimento di personalità nazionali e straniere… che nulla abbia a che fare con la ex reggia del Quirinale, il cui semplice costo di manutenzione equivale al bilancio intero di un piccolo Stato ed è un autentico oltraggio alle ristrettezze subìte dal popolo operante”. E in tema di corruzione ha la soluzione: “Il Genio civile potrà utilizzare l’ingente manodopera disponibile a bassissimo costo per compiere in proprio, senza fine di lucro, le più urgenti opere di pubblica utilità, senza far ricorso all’oneroso sistema degli appalti, all’ombra dei quali opera la ben nota corruzione”.
Da Il Fatto Quotidiano del 23 dicembre 2014