E’ di stamattina l’annuncio del premier Renzi di un provvedimento ad hoc per le partite Iva, in particolare quelle dei professionisti e free lance. “Serve correttivo”, ha annunciato il premier a poche ore dall’approvazione della legge di Stabilità. Una legge fatta dal suo governo e che quindi avrebbe dovuto direttamente riconoscere le istanze di uno dei pochi settori del paese che, mentre da un lato sta producendo conoscenza e innovazione, dall’altro non riesce a sopravvivere, vessato soprattutto da un’aliquota contributiva insensata e folle, pagata totalmente dal lavoratore e che, oltretutto, non servirà in alcun modo a garantirgli una pensione, ma solo a compensare i debiti delle altre casse dell’Inps (visto che la gestione separata, nella quale questi professionisti versano sudatissimi soldi, è l’unica in attivo, ma non eroga alcuna tutela verso coloro che invece la finanziano).
Il problema resta sempre lo stesso: Renzi è un under quaranta che non sa nulla di come vivono e lavorano gli altri under quaranta. Nato, lavorativamente parlando, dentro un apparato burocratico, ci è sempre rimasto e sembra non avere alcuna cognizione di cosa nel mondo del lavoro non dipendente sta realmente accadendo. Eppure ormai tutto si gioca là fuori: fuori cioè dal perimetro di un lavoro garantito al quale il governo Renzi ha tolto alcune tutele ma che comunque è destinato progressivamente a ridursi ancora di più di quanto non accada.
E allora sarebbe stato fondamentale interrogarsi prima di varare una legge che, modificando il regime dei minimi, l’unica agevolazione concessa ai giovani senza lavoro dipendente in questi infami anni di crisi, di fatto aumenta la tassazione sui professionisti che guadagnano di meno, magari laureati e formati, eppure impossibilitati a vivere del loro guadagno. Ma ci sarebbe stato soprattutto da interrogarsi prima di confermare l’aumento delle aliquote contributive Inps, il cui blocco era stato persino approvato in Commissione Bilancio, e che è veramente l’aspetto che impedisce a questi giovani lavoratori di poter sopravvivere. Decurtare da ciò che si è guadagnato, in tempi di crisi e con il lavoro che diminuisce, il trenta per cento per i contributi, più le tasse, significa praticamente andare a guadagnare meno della metà del lordo. Ma non basta perché questi lavoratori sono costretti a pagarsi, oltre la previdenza, tutto il resto da sé. Come un’assicurazione medica, oppure un’assicurazione che consenta loro di ricevere qualche soldo nel caso non possano lavorare.
Ad esempio se si ammalano di malattia grave, come è successo a Daniela Fregosi, diventata ormai un simbolo della lotta dei lavoratori autonomi per avere diritti di base come la sospensione dal pagamento dei contributi nel caso si abbia un tumore (come Daniela Fregosi scrive da mesi sul suo blog Afrodite K, un lavoratore autonomo che si ammala non ha diritto né alla malattia prolungata, né ad un sostegno al reddito integrativo nei mesi di malattia come sarebbe umano e normale se l’Inps fosse un ente normale e l’Italia un paese normale, né tantomeno alla pensione di invalidità, per la quale sono richiesti requisiti inverosimili).
I lavoratori autonomi, quei giovani appunto spesso evocati da Renzi – chi non ricorda la famosa mamma a partita Iva che avrebbe dovuto essere presto tutelata? -, continuano ad essere prima ancora che vessati completamente ignorati da una classe politica che del mercato del lavoro non sa nulla. Eppure sono la cartina di tornasole di anni di riforme mancate. Ed è proprio attraverso la loro protesta, che presto si farà sentire con forza, anche con misure radicali come l’ipotesi di uno sciopero contributivo, che esploderà ben presto la contraddizione italiana: un paese che fino agli anni Novanta è vissuto tutelando solo il lavoro dipendente e lasciando al lavoro autonomo di un tempo, professionisti, artigiani e commercianti, la possibilità di evadere in cambio. Ma che oggi è invece un paese dove le professionalità più avanzate passano soprattutto attraverso il lavoro autonomo, che è profondamente cambiato rispetto al passato e oggi accoglie anche tutti quei laureati (che un tempo sarebbero entrati in ministeri, scuole, aziende), oltre che le nuove piccole imprese, fatte sempre da giovani che cercano di inventarsi un lavoro nell’era del non lavoro e della crisi economica.
Oggi chi non ha un lavoro dipendente si trova in questa condizione: se ha un lavoro, paga tasse e contributi enormi senza ricevere alcun servizio né tutela. Se è disoccupato, non riceve alcun reddito perché non esiste un sussidio di disoccupazione per i professionisti. Se si ammala, e non può lavorare, deve comunque continuare a pagare tasse e contributi. Quando avrà l’età di andare in pensione, non potrà andarci perché i suoi contributi saranno serviti a pagare altre pensioni, non la sua. I lavoratori autonomi non hanno ricevuto, né riceveranno, gli ottanta euro. L’aumento delle aliquote servirà infatti a finanziare un’Aspi che riguardar forse quei co.co.co che lo stesso Renzi ha detto di voler eliminare.
Dunque per loro, nulla di nulla, tranne l’ennesimo annuncio. Non sarebbe un problema per il governo, se restassero una minoranza. Peccato che quelli che non hanno un lavoro dipendente sono la maggioranza tra i giovani lavoratori. E in futuro saranno la maggioranza dei lavoratori. Cominciare a capire chi siano è urgente. Ma il governo, e pure i sindacati, continuano a concepire il lavoro solo come lavoro dipendente. O, al massimo, parasubordinato, cioè quasi dipendente.
Sugli altri milioni di lavoratori, solo l’indifferenza che nasce dall’ignoranza, unita a miopi misure vessatorie. Rimangiate, per ora solo verbalmente, poche ore dopo aver brindato alla più equa delle leggi di Stabilità.