Si chiude anche questo 2014 e in Italia la tortura non è ancora prevista come un reato specifico. Ci sono le lesioni, i maltrattamenti le minacce. Certamente. Ma troppe volte, dai fatti di Genova 2001 in poi, abbiamo visto che non bastano a punire efficacemente chi si macchia del reato infame di usare violenza contro un corpo affidato alla sua cura e custodia mentre rappresenta ufficialmente il nostro Paese.
Lo scorso 10 dicembre, Giornata Mondiale dei Diritti Umani, presso la Camera dei Deputati, abbiamo voluto fare un minuto di silenzio per tornare nuovamente a chiedere una legge che introduca il reato di tortura nel nostro codice. Amnesty International, Arci, Cittadinanzattiva, Antigone e Cild (la neonata Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti Civili) hanno chiamato i parlamentari e le altre associazioni a unirsi a loro. Eravamo in tanti. Con noi è voluto stare anche il cantante romano Piotta che, come dice nei suoi videoclip, “odia gli indifferenti”.
Ed eravamo alla Camera dei Deputati perché è lì che la legge è oggi pendente e attende un voto definitivo.
Abbiamo spiegato le nostre ragioni – come se ci fosse ancora bisogni di spiegarle – e poi abbiamo chiesto a tutti di stare zitti per un minuto, a contrapporre il nostro silenzio rispettoso dei troppi Stefano Cucchi che abbiamo incrociato sulla nostra strada a quello omertoso delle istituzioni. Chi sa parli, chiedeva il Fatto Quotidiano in occasione della sentenza di appello del processo Cucchi. Ma non solo chi sa non ha parlato: spesso non lo hanno fatto neanche i vertici di quelle forze dell’ordine che avrebbero potuto chiedere con forza uno strumento giuridico per differenziare al proprio interno le tante brave persone dai pochi torturatori.

Era l’inizio del 2012 quando un giudice di Asti scriveva nero su bianco in una sentenza che gli eventi che si era trovato a giudicare corrispondevano perfettamente alla definizione che della tortura danno le Nazioni Unite, ma che l’Italia non gli metteva a disposizione gli strumenti legislativi sufficienti a punire i poliziotti penitenziari che lui aveva dovuto necessariamente lasciare in libertà.
Ed è recente la sentenza che scrive che “l’inadempienza dell’Italia nell’adeguarsi agli obblighi della Convenzione Onu crea una situazione paradossale in cui un reato come la tortura che a determinate condizioni può configurare anche un crimine contro l’umanità, per l’ordinamento italiano non è un reato specifico”. È la Suprema Corte di Cassazione a parlare, spiegando perché l’ordinamento italiano non è stato capace di consentire ai giudici di estradare in Argentina il sacerdote Franco Reverberi, come il Paese sudamericano chiedeva. In qualità di cappellano militare, Reverberi è accusato di aver partecipato alle atroci torture organizzate dal regime di Videla.
Credo non ci sia bisogno di andare avanti con gli esempi. Credo che ogni persona intellettualmente onesta sappia che Stefano Cucchi non è caduto dalle scale, che la tortura in Italia è praticata, che non approvare la legge che introduce il reato di tortura come ci chiedono di fare le Nazioni Unite da decenni significa lanciare un segnale culturale di tracotanza e di impunità delle forze dell’ordine del nostro Paese e che è per questo che tale legge – a differenza di tante altre che introducono dall’oggi al domani nuovi reati e nuovi innalzamenti di pena da dare in pasto all’opinione pubblica – trova sempre un qualche blocco sul proprio cammino.
Sta succedendo anche adesso. In Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati per adesso ci si è limitati a rinviare la discussione, che poteva concludersi tranquillamente alcune settimane or sono, a dopo le vacanze natalizie. Se ne riparla nel 2015. Siamo inadempienti davanti al mondo da un quarto di secolo, cosa volete che sia un anno in più… Ma nel nuovo anno torneremo a chiedervi conto di quello che state facendo. Le tantissime associazioni e i tanti parlamentari democratici che il 10 dicembre erano con noi non vogliono più il silenzio delle istituzioni che ci dovrebbero rappresentare.
Rispondete con le vostre parole al nostro minuto di silenzio: se credete che la tortura non debba essere punita fatevi carico di spiegarlo pubblicamente ai cittadini e alle Nazioni Unite. Altrimenti approvate subito la legge che la rende reato.
Susanna Marietti
Coordinatrice Antigone
Giustizia & Impunità - 24 Dicembre 2014
Reato di tortura: rispondete al nostro minuto di silenzio!
Si chiude anche questo 2014 e in Italia la tortura non è ancora prevista come un reato specifico. Ci sono le lesioni, i maltrattamenti le minacce. Certamente. Ma troppe volte, dai fatti di Genova 2001 in poi, abbiamo visto che non bastano a punire efficacemente chi si macchia del reato infame di usare violenza contro un corpo affidato alla sua cura e custodia mentre rappresenta ufficialmente il nostro Paese.
Lo scorso 10 dicembre, Giornata Mondiale dei Diritti Umani, presso la Camera dei Deputati, abbiamo voluto fare un minuto di silenzio per tornare nuovamente a chiedere una legge che introduca il reato di tortura nel nostro codice. Amnesty International, Arci, Cittadinanzattiva, Antigone e Cild (la neonata Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti Civili) hanno chiamato i parlamentari e le altre associazioni a unirsi a loro. Eravamo in tanti. Con noi è voluto stare anche il cantante romano Piotta che, come dice nei suoi videoclip, “odia gli indifferenti”.
Ed eravamo alla Camera dei Deputati perché è lì che la legge è oggi pendente e attende un voto definitivo.
Abbiamo spiegato le nostre ragioni – come se ci fosse ancora bisogni di spiegarle – e poi abbiamo chiesto a tutti di stare zitti per un minuto, a contrapporre il nostro silenzio rispettoso dei troppi Stefano Cucchi che abbiamo incrociato sulla nostra strada a quello omertoso delle istituzioni. Chi sa parli, chiedeva il Fatto Quotidiano in occasione della sentenza di appello del processo Cucchi. Ma non solo chi sa non ha parlato: spesso non lo hanno fatto neanche i vertici di quelle forze dell’ordine che avrebbero potuto chiedere con forza uno strumento giuridico per differenziare al proprio interno le tante brave persone dai pochi torturatori.
Era l’inizio del 2012 quando un giudice di Asti scriveva nero su bianco in una sentenza che gli eventi che si era trovato a giudicare corrispondevano perfettamente alla definizione che della tortura danno le Nazioni Unite, ma che l’Italia non gli metteva a disposizione gli strumenti legislativi sufficienti a punire i poliziotti penitenziari che lui aveva dovuto necessariamente lasciare in libertà.
Ed è recente la sentenza che scrive che “l’inadempienza dell’Italia nell’adeguarsi agli obblighi della Convenzione Onu crea una situazione paradossale in cui un reato come la tortura che a determinate condizioni può configurare anche un crimine contro l’umanità, per l’ordinamento italiano non è un reato specifico”. È la Suprema Corte di Cassazione a parlare, spiegando perché l’ordinamento italiano non è stato capace di consentire ai giudici di estradare in Argentina il sacerdote Franco Reverberi, come il Paese sudamericano chiedeva. In qualità di cappellano militare, Reverberi è accusato di aver partecipato alle atroci torture organizzate dal regime di Videla.
Credo non ci sia bisogno di andare avanti con gli esempi. Credo che ogni persona intellettualmente onesta sappia che Stefano Cucchi non è caduto dalle scale, che la tortura in Italia è praticata, che non approvare la legge che introduce il reato di tortura come ci chiedono di fare le Nazioni Unite da decenni significa lanciare un segnale culturale di tracotanza e di impunità delle forze dell’ordine del nostro Paese e che è per questo che tale legge – a differenza di tante altre che introducono dall’oggi al domani nuovi reati e nuovi innalzamenti di pena da dare in pasto all’opinione pubblica – trova sempre un qualche blocco sul proprio cammino.
Sta succedendo anche adesso. In Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati per adesso ci si è limitati a rinviare la discussione, che poteva concludersi tranquillamente alcune settimane or sono, a dopo le vacanze natalizie. Se ne riparla nel 2015. Siamo inadempienti davanti al mondo da un quarto di secolo, cosa volete che sia un anno in più… Ma nel nuovo anno torneremo a chiedervi conto di quello che state facendo. Le tantissime associazioni e i tanti parlamentari democratici che il 10 dicembre erano con noi non vogliono più il silenzio delle istituzioni che ci dovrebbero rappresentare.
Rispondete con le vostre parole al nostro minuto di silenzio: se credete che la tortura non debba essere punita fatevi carico di spiegarlo pubblicamente ai cittadini e alle Nazioni Unite. Altrimenti approvate subito la legge che la rende reato.
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Beirut, 16 mar. (Adnkronos) - Hezbollah ha condannato in una dichiarazione gli attacchi americani contro obiettivi Houthi nello Yemen. "Affermiamo la nostra piena solidarietà nei confronti del coraggioso Yemen e chiediamo a tutti i popoli liberi del mondo e a tutte le forze di resistenza nella nostra regione e nel mondo di unirsi per contrastare il progetto sionista americano contro i popoli della nostra nazione", ha scritto in una nota il Partito di Dio.
Washington, 16 mar. (Adnkronos) - Gli attacchi americani in Yemen sono "un avvertimento per gli Houthi e per tutti i terroristi". Lo ha detto a Fox News il vice inviato degli Stati Uniti per il Medio Oriente, Morgan Ortagus, sottolineando che "questa non è l'amministrazione Biden. Se colpisci gli Stati Uniti, il presidente Trump risponderà. Il presidente Trump sta ripristinando la leadership e la deterrenza americana in Medio Oriente".
Washington, 16 mar. (Adnkronos) - Steve Witkoff, ha definito "inaccettabili" le ultime richieste di Hamas in merito al cessate il fuoco a Gaza. Riferendosi alla conferenza del Cairo di inizio mese, l'inviato statunitense per il Medio Oriente ha detto alla Cnn di aver "trascorso quasi sette ore e mezza al summit arabo, dove abbiamo avuto conversazioni davvero positive, che descriverei come un punto di svolta, se non fosse stato per la risposta di Hamas".
Hamas avrebbe insistito affinché i negoziati per un cessate il fuoco permanente iniziassero lo stesso giorno del prossimo rilascio di ostaggi e prigionieri palestinesi. Secondo Al Jazeera, Hamas ha anche chiesto che, una volta approvato l'accordo, i valichi di frontiera verso Gaza venissero aperti, consentendo l'ingresso degli aiuti umanitari prima del rilascio di Edan Alexander e dei corpi di quattro ostaggi. Inoltre, il gruppo ha chiesto la rimozione dei posti di blocco lungo il corridoio di Netzarim e l'ingresso senza restrizioni per i residenti di Gaza che tornano dall'estero attraverso il valico di Rafah.
"Abbiamo trascorso parecchio tempo a parlare di una proposta di ponte che avrebbe visto il rilascio di cinque ostaggi vivi, tra cui Edan Alexander, e anche, tra l'altro, il rilascio di un numero considerevole di prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane", ha detto Witkoff. "Pensavo che la proposta fosse convincente: gli israeliani ne erano stati informati e avvisati in anticipo". "C'è un'opportunità per Hamas, ma si sta esaurendo rapidamente", ha continuato Witkoff. " Con quello che è successo ieri con gli Houthi, ciò che è successo con il nostro ordine di attacco, incoraggerei Hamas a diventare molto più ragionevole di quanto non sia stato finora".
Tel Aviv, 16 mar. (Adnkronos) - L'esercito israeliano ha scoperto un nascondiglio di armi nel campo profughi di Nur Shams, fuori Tulkarem, nella Cisgiordania settentrionale. Lo ha reso noto l'Idf, precisando che sono state rinvenute diverse borse contenenti armi, una delle quali conteneva anche un giubbotto con la scritta 'Unrwa'. Le armi confiscate sono state consegnate alle forze di sicurezza per ulteriori indagini.
Tel Aviv, 16 mar. (Adnkronos) - Un missile lanciato dagli Houthi è caduto a Sharm el-Sheikh, nella penisola egiziana del Sinai. Lo ha riferito la radio dell'esercito israeliano, aggiungendo che l'Idf sta indagando per stabilire se il missile fosse diretto contro Israele.
Passo del Tonale, 15 mar.(Adnkronos) - Che l’aspetto competitivo fosse tornato ad essere il cuore pulsante di questa quinta edizione della Coppa delle Alpi era cosa già nota. Ai piloti il merito di aver offerto una gara esaltante, che nella tappa di oggi ha visto Alberto Aliverti e Francesco Polini, sulla loro 508 C del 1937, prendersi il primo posto in classifica scalzando i rivali Matteo Belotti e Ingrid Plebani, secondi al traguardo sulla Bugatti T 37 A del 1927. Terzi classificati Francesco e Giuseppe Di Pietra, sempre su Fiat 508 C, ma del 1938. La neve, del resto, è stata una compagna apprezzatissima di questa edizione della Coppa delle Alpi, contribuendo forse a rendere ancor più sfidante e autentica la rievocazione della gara di velocità che nel 1921 vide un gruppo di audaci piloti percorrere 2300 chilometri fra le insidie del territorio alpino, spingendo i piloti a sfoderare lo spirito audace che rappresenta la vera essenza della Freccia Rossa.
Nel pomeriggio di oggi, dalla ripartenza dopo la sosta per il pranzo a Baselga di Piné, una pioggia battente ha continuato a scendere fino all’arrivo sul Passo del Tonale, dove si è trasformata in neve. Neve che è scesa copiosa anche in occasione del primo arrivo di tappa a St. Moritz e ieri mattina, sul Passo del Fuorn. Al termine di circa 880 chilometri attraverso i confini di Italia, Svizzera e Austria, i 40 equipaggi in gara hanno finalmente tagliato il traguardo alle 17:30 di oggi pomeriggio all’ingresso della Pista Ghiaccio Val di Sole, dove hanno effettuato il tredicesimo ed ultimo Controllo Orario della manifestazione.
L’ultimo atto sportivo dell’evento è stato il giro nel circuito, all’interno del quale le vetture si sono misurate in una serie di tre Prove Cronometrate sulla neve fresca valide per il Trofeo Ponte di Legno, vinto da Francesco e Giuseppe Di Pietra. L’altro trofeo speciale, il Trofeo Città di Brescia, ovvero la sfida 1 vs 1 ad eliminazione diretta di mercoledì sera in Piazza Vittoria, era stato anch’esso vinto da Aliverti-Polini.
Sana'a, 15 mar. (Adnkronos) - Gli attacchi aerei non scoraggeranno i ribelli yemeniti, i quali risponderanno agli Stati Uniti. Lo ha scritto sui social Nasruddin Amer, vice capo dell'ufficio stampa degli Houthi, aggiungendo che "Sana'a rimarrà lo scudo e il sostegno di Gaza e non la abbandonerà, indipendentemente dalle sfide".
"Questa aggressione non passerà senza una risposta e le nostre forze armate yemenite sono pienamente pronte ad affrontare l'escalation con l'escalation", ha affermato l'ufficio politico dei ribelli in una dichiarazione alla televisione Al-Masirah.
In un'altra dichiarazione citata da Ynet, un funzionario Houthi si è rivolto direttamente a Trump e a Netanyahu, che "stanno scavando tombe per i sionisti. Iniziate a preoccuparvi per le vostre teste".