Dieci anni fa produceva un solo modello, pure bruttino. Oggi il marchio romeno di proprietà della Renault vende centinaia di miglia di macchine l'anno in 43 Paesi, e continua a crescere. Per avere i listini più bassi d'Europa, produce in Paesi dove il lavoro costa poco, ottimizza ogni spesa e snobba le nicchie di mercato. E così asseconda le esigenze di consumatori che preferiscono spendere in elettronica piuttosto che nell'acquisto di un'auto
Quella della Dacia è una storia unica nel mondo dell’auto. Dieci anni fa la Renault decide di mettere in vendita anche in Europa occidentale un modello nato in Romania. Una berlina con la coda, squadrata, spoglia e, diciamolo, “bruttina” per i nostri canoni. Eppure quella prima Logan (nella foto sotto, il team che l’ha progettata) ha una caratteristica che la rende unica e decisamente attraente per i popoli di tutte le latitudini: costa pochissimo. Quando arriva in Italia, a inizio 2006, il modello base 1.4 a benzina costa 7.950 euro: non ha il climatizzatore e i finestrini elettrici, ma è comunque un’auto a cinque posti lunga 4,25 metri.
Piano piano il primo modello si afferma, anche grazie alla versione monovolume, e la Renault prende coraggio, allargando la gamma fino a raggiungere l’attuale quota di mercato europea del 2,8% nei primi 10 mesi del 2014, 308.000 esemplari immatricolati. “In 10 anni abbiamo completamente coperto geograficamente il Vecchio Continente e i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, sviluppato una gamma di sette vetture e sostituito la vecchia Logan con il nuovo modello”, racconta a Ilfattoquotidiano.it Arnault Deboeuf, il direttore della gamma Dacia e Entry Renault. “È grazie a questo dinamismo che oggi la nostra gamma è la più giovane d’Europa. E abbiamo crescite nel primo semestre 2014 del 25% nell’insieme dei 43 Paesi di commercializzazione”.
Forse la Dacia ha preso piede con facilità in Europa perché, a causa della crisi economica, la gente ha meno soldi in tasca. Ma secondo Deboeuf il successo del marchio romeno deriva piuttosto da un nuovo tipo di consumatore: “Dacia ha saputo accompagnare un cambiamento di mentalità: tante persone non vogliono più immbilizzare enormi somme di denaro nell’acquisto di un’automobile, perché magari preferiscono spendere nell’elettronica. È una scelta razionale”.
La Dacia riesce a contenere i prezzi – la Sandero, che appartiene al segmento della Punto e della Polo, ha un listino che parte da 7.900 euro – perché ha fabbriche competitive in Paesi in cui il costo del lavoro è più basso di quello dell’Europa Occidentale, spiega Deboeuf. “La nostra fabbrica di Mioveni, dove assembliamo la Duster, lavora a pieno ritmo ed è molto ben organizzata. Per fare le auto a prezzi molti bassi, bisogna andare a lavorare su tutti i fronti: sul prezzo di progettazione, distribuzione, fabbricazione. Per questo non possiamo costruire Dacia in Francia, per esempio: dobbiamo mettere pressione su tutti i costi, anche sui componenti e la logistica”.
Quanto alle contestazioni francesi del 2012, in risposta all’apertura di una fabbrica in Marocco, Deboeuf difende la strategia aziendale spiegando che la Francia assorbe solo il 9% della gamma “entry” (ossia Dacia e gli analoghi prodotti venduti in Russia e in America Latina con marchio Renault): “Noi andiamo soprattutto a cercare i mercati internazionali. Quindi è normali che le fabbriche siano all’estero. E comunque molti motori e cambi vengono prodotti in Francia e Spagna”. Per mantenere bassi i prezzi, oltre al basso costo del lavoro, servono altri due ingredienti: un vasto catalogo di pezzi a componenti a cui poter accedere, e in questo caso c’è a disposizione quello della Renault, e poi un’attenta scelta dei modelli in gamma, che devono essere venduti in grandi numeri. “Noi facciamo solo modelli di massa, non ci interessano le nicchie di mercato. Per esempio producevamo un pick-up, ma non l’abbiamo sostituito perché non faceva i volumi necessari”.
Ma qual è il prezzo minimo sotto cui nessuno, neanche Dacia, può riuscire a commercializzare un’automobile? “Non è facile scendere ancora: per essere venduta in Europa, un’auto deve avere l’Esp, avere motori Euro 6. Noi cominciamo a progettare dal prezzo: se volessimo allargare la gamma verso il basso, dovremmo pensare a una segmento A (quello della Panda, ndr) che costi non più di 7.500 euro, visto che la segmento B Sandero ne costa 7.900”. In realtà, in questa direzione qualcosa si sta muovendo: il numero uno di Renault-Nissan, Carlos Ghosn, ha annunciato che l’alleanza sta lavorando a una nuova piattaforma comune per il segmento A, cioè per le vetture fra i 3,4 e i 4 metri di lunghezza, che sarà sfruttata nel mondo intero”. Non è ancora deciso se sarà realizzato anche un modelli piccolo per l’Europa, e Leboeuf non si sbilancia. “Iniziamo con l’India e il Brasile, poi vedremo”.
Perché Dacia è l’unico marchio a proporsi senza imbarazzo come “low cost”, in un mondo in cui tutti, anche i coreani, tendono a diventare “premium”? “Perché col low cost noi guadagniamo”, risponde Leboeuf. “Penso che la maggior parte delle persone che lavorano nel nostro settore creda che non si possano fare profitti con il low cost. C’è un pensiero unico che è: più salgo in gamma, più guadagnerò. Non abbiamo dimostrato che non è così”. Leboeuf garantische che i margini della Dacia, che non vuole dichiare, sono “del tutto riguardevoli, ben al di sopra di quelli medi dei costruttori generalisti”. Tanto che Deboeuf si aspetta di vedere presto comparire all’orizzonte qualche concorrente: “Arriveranno sicuramente, anche se all’inizio nessuno credeva nella nostra idea di business”.