Uomini e donne - in cassa integrazione o licenziati - che finiscono alla ricerca di contratti precari o di un impiego lontano dalla loro esperienza professionale. "L'importante non è la carriera, ma un pasto caldo". Sono sempre di più (secondo il Censis +146% in 5 anni) le persone in età matura che devono ricollocarsi
“Quando hai passato i 50 e ti trovi senza lavoro la carriera non conta. Il problema è portare un pasto in tavola e non finire a fare il barbone”. Maurizio, classe ’57, è alla fine del terzo anno di mobilità e di porte in faccia ne ha ricevute molte. Roberto, invece, di anni ne ha 62, un passato da dipendente (prima in banca poi presso una casa di moda) oggi ha trovato la forza di ricominciare dall’assistenza domiciliare agli anziani. Claudio a 47 anni è passato dalla catena di montaggio alla vendita porta a porta. Elena, 59 anni, nella vita ha fatto di tutto. Oggi si arrangia come può con lavori di piccola sartoria, ma non si è ancora data per vinta e continua a cercare un’occupazione stabile che la accompagni alla pensione. Nella, 60 anni, si è sempre saputa arrangiare e da quando ha chiuso la partita iva lavora a chiamata. L’elenco dei racconti di vita vissuta potrebbe continuare a lungo. Sono sempre di più, infatti, le persone in età matura che si trovano nella condizione di doversi ricollocare una volta persa l’occupazione. E, quando il lavoro arriva, bisogna accontentarsi, lasciando da parte ambizioni e aspirazioni di carriera. E anche la speranza di un riconoscimento della propria esperienza professionale da parte del nuovo datore di lavoro.
“Oggi a 45 o 50 anni, dopo 15 o 20 anni di lavoro capita sempre più spesso di dover cambiare. Non esiste più il lavoro per la vita”. Una situazione che è sotto gli occhi di tutti, suffragata da storie personali e dati statistici. Rosario Rasizza, ad di Openjobs-Metis spiega come in questi anni è cambiato il mondo del lavoro interinale: “Le agenzie per il lavoro una volta erano considerate una soluzione ‘da sfigati’ o al limite da studenti al primo impiego – spiega Rasizza -. Oggi non è più così, c’è una rete di 2500 sportelli sul territorio, altamente qualificati, preparati a far fronte alle nuove sfide”. Le agenzie per il lavoro sono una delle possibilità per ricollocarsi, uno strumento per tutti: “Oggi bisogna sempre tenere alta l’attenzione – continua Rasizza -, perché uno quando lavora tende a non pensare alla possibilità di dover cambiare posto. Psicologicamente non è facile. E’ un’età in cui molti hanno mutuo e famiglia”. Questo è vero tanto per i profili più elevati, dirigenti e quadri, quanto per quelli meno qualificati. “Oggi occorre abituarsi al cambiamento, bisogna essere pronti anche a fare tre passi indietro per farne cinque avanti. Perdere il lavoro ormai è una questione frequente, che può capitare a tutti e non deve diventare motivo di vergogna”.
La seconda vita di Claudio e Roberto – Ed è proprio questo uno dei principali nodi da affrontare. Quello della vergogna. Con il bagaglio di sconforto e negatività da cui si viene travolti. Claudio ha 47 anni, due figli di 14 e 17 e un matrimonio sfumato alle spalle. “Non posso dire che la vita mi abbia sorriso, ho passato momenti veramente difficili, in cui tutto mi stava crollando addosso. Nel giro di due anni ho perso prima il lavoro poi la famiglia”. Calabrese di nascita, Claudio ha sempre lavorato a Milano. Una vita in azienda, da operaio a capo reparto, un lavoro solido e una certezza: lo stipendio a fine mese. Poi arriva la crisi e con la crisi la cassa integrazione, fino alla perdita del posto. “Siamo stati tra i primi ad andare a gambe all’aria, lavoravo in una piccola azienda metalmeccanica, quando nel 2009 abbiamo chiuso eravamo rimasti una trentina, i più spendibili avevano già trovato un’alternativa. Io a 42 anni non sono stato capace, forse perché non ci ho creduto, perché ho sperato fino all’ultimo che la situazione si raddrizzasse”.
Ma, al contrario, è peggiorata. E per Claudio è stato l’inizio di un periodo nero. “L’ho vissuta come un insuccesso personale – racconta – per un anno non ho lavorato nemmeno un giorno. Mi sono svegliato quando la mia ex moglie mi ha lasciato”. Oggi Claudio fa il venditore porta a porta e guadagna a provvigione. “Ho iniziato a vendere contratti per l’energia elettrica, poi sono passato agli apparecchi per la depurazione dell’acqua. Mi hanno fatto fare dei corsi e poi mi sono buttato nella mischia. I miei colleghi sono quasi tutti ragazzi giovani che hanno 25-30 anni e, anche se adesso ogni tanto arriva qualcuno più in là con gli anni, rimango uno dei più anziani. Non posso dire di essere realizzato, perché non era questo che immaginavo per la mia vita, ma sono contento di avere un lavoro e di poter guardare in faccia i miei figli senza vergognarmi”.
Roberto ha lavorato per vent’anni come commerciante, aveva un negozio di scarpe, con due dipendenti. Poi ha lavorato in banca e infine da uno stilista. “Nel maggio 2013 ho perso il lavoro e mi sono trovato in seria difficoltà”. Così a 62 anni ha dovuto rimboccarsi le maniche e ricominciare: “Quando il problema è il sostentamento le energie si trovano. Mi sono arrangiato e ho trovato qualcosa nel settore dell’assistenza agli anziani parzialmente autosufficienti. La crescita professionale alla mia età non è prioritaria, mi serviva qualcosa per vivere fino alla pensione, un lavoro per i prossimi 4 o 5 anni”.
Over 50 senza lavoro -L’ultimo rapporto del Censis ha rilevato come nel quinquennio 2008-2013 i disoccupati over cinquanta siano aumentati del 146,1%, con una netta prevalenza di uomini (+160,2%) rispetto alle donne (+111,1%). Tra gli italiani ultracinquantenni che restano senza lavoro (460mila nel 2013), il 61,4% non trova una nuova occupazione entro l’anno, solo per il 38,6% la disoccupazione dura meno di 12 mesi. La condizione di Claudio e Roberto sembra quanto mai diffusa. “Il rischio di una progressiva precarizzazione di una parte delle classi più anziane, ma ancora in età lavorativa – si legge nel quarantottesimo rapporto del Censis -, sembra altrettanto verosimile di quello che ha già assunto caratteri strutturali per le classi più giovani, con tutte le conseguenze che questo potrà comportare”.
Nella, Roberta ed Elena: cosa significa “ricominciare” – Le statistiche dicono che il fenomeno è prettamente maschile, ma anche l’altra metà del cielo soffre di questo momento buio e tante donne si trovano nella condizione di dover ricominciare. Perché rimaste senza sostegno, perché il marito ha fatto le valigie o, semplicemente perché uno stipendio solo non basta più. Nella ha 60 anni ed è disoccupata da due. “Ho lavorato a chiamata. Alla mia età è difficile adattarsi a fare altro, ma ci si prova. Sono lavori di uno o due giorni, se non di qualche ora. Mi arrangio a fare la cameriera, le pulizie, le promozioni nei supermercati. Speravo in questo periodo natalizio, l’anno scorso ho lavorato una ventina di giorni nel periodo festivo, ma quest’anno non ho avuto nessuna proposta. Spero che cambi presto qualcosa”.
Roberta, 58 anni si è da poco separata: “Trovarsi single alla mia età non è facile. I miei figli sono grandi e sono lontani, così non ho nessuno che mi possa aiutare. Sono sempre stata a mio agio con i bambini, così mi sono messa a fare la babysitter a chiamata. Ho iniziato con il nipotino di una mia amica e da lì ho affisso qualche annuncio vicino agli asili, un po’ come fanno gli studenti che offrono ripetizioni. Al momento guadagno a malapena quel che serve per comprare il pane e pagare le bollette, ma almeno non sono per strada”.
“Io ho fatto la casalinga per 22 anni, poi i casi della vita mi hanno obbligato a rientrare nel mondo del lavoro”. Elena ha 59 anni, ha lavorato in azienda per cinque anni e poi si è messa in proprio, fino al 2011, quando ha dovuto chiudere. Ha lavorato poi come venditrice porta a porta (sempre a partita iva) finché l’attività è diventata antieconomica per le troppe tasse. Da allora è ufficialmente una disoccupata ed è entrata nel circuito del sommerso, si arrangia a fare la sarta, piccoli lavori che le rendono il necessario per mettere insieme il pranzo con la cena: “Ho capito che dovevo arrangiarmi da sola. Come imprenditrice non sono stata aiutata, come lavoratrice nemmeno, come disoccupata non ne parliamo. Si sentono solo grandi parole, ma nessuno ha veramente voglia di risolvere la situazione”.
Ma tra gli over 50 sale anche il tasso di occupazione – Se il dato sulla disoccupazione tra gli over 50 è spaventosamente in crescita, va sottolineato come aumenti anche il tasso di occupazione, in controtendenza con quanto accade per le fasce più giovani. Gli occupati tra gli ultracinquantenni raggiungono il milione di individui (segnando un +19,1% dal 2011 al 2013, con netta prevalenza di donne). Questo in parte è dovuto anche all’aumento dei casi di ingresso tardivo nel mondo del lavoro. Persone che non hanno mai avuto l’esigenza di trovare un impiego che si sono messe in cerca di occupazione magari per fare fronte a situazioni di difficoltà.
Quello dei lavoratori anziani è un mercato in profonda mutazione, estremamente dinamico, si viene licenziati di più e molto spesso bisogna rinunciare alle progressioni verticali a favore di spostamenti orizzontali o addirittura discendenti pur di mantenere il posto di lavoro, ma sembra che alcune occasioni di reinserimento ci siano, sebbene la concorrenza sia spietata. L’aumento degli occupati “da un lato è un effetto diretto delle riforme previdenziali entrate a regime – si legge ancora nel rapporto del Censis – dall’altro contiene in se le disfunzioni di un mercato che serra le porte ai giovani e le spalanca ai più anziani”.
Una tendenza confermata anche dalle grandi aziende che in questo momento di crisi ancora stanno assumendo. È il caso delle catene di fastfood come McDonald’s o dei grandi supermercati come Esselunga. Due realtà, quelle citate, che continuano ad aprire punti vendita e assumono personale. Pur non fornendo dati dettagliati, Esselunga conferma per gli ultimi anni la tendenza all’aumento delle domande provenienti da lavoratori maturi. McDonald’s, che in due anni ha ricevuto 66mila curriculum in concomitanza con una intensa campagna di reclutamento per l’apertura di nuovi ristoranti, ha spiegato come (a dispetto del target prettamente giovanile) il 9,6% delle candidature siano arrivate da over 40.