Il 2014 è stato per la Fao l’anno dell’agricoltura famigliare, mentre il 2015 sarà dedicata ad una delle risorse più importante che abbiamo sul pianeta terra: il suolo.

Sempre secondo la Fao sono le piccole aziende famigliari a produrre il cibo che nutre gran parte del pianeta. Le stime arrivano a contare 500 milioni di aziende agricole, che producono il 56% della produzione totale coprendo l’80% delle terre agricole. Nel mondo il 72% di aziende ha meno di un ettaro di terra, quindi si tratta di piccolissimi fazzoletti di terra. Sempre uno studio della FAO, le aziende a conduzione famigliare contribuiscono a preservare il cibo tradizionale, a dare una dieta bilanciata e a salvaguardare la biodiversità e l’uso sostenibile delle risorse naturali.

L’agricoltura italiana è costituita da aziende agricole che hanno una superficie media di 7 ettari e un età media di 60 anni, e produciamo 246 prodotti a marchio di qualità. Sono in sintesi aziende piccole, che producono moli prodotti di eccellenza.  Senza contare la biodiversità di prodotto che rappresenta la nostra tradizione agroalimentare.

La forza della nostra eccellenza è tutta racchiusa nei piccoli numeri e nelle piccole eccellenze. Qualcuno la chiama agricoltura contadina, un agricoltura responsabile del proprio territorio e che produce prodotti di qualità. Le aziende agricole italiane hanno bisogno di ricambio generazionale, di norme più semplici e di una valorizzazione che punti a difendere il territorio e il paesaggio. In questa bella ricetta ci aggiungerei una semplice parola: integrazione di filiera. Ovvero i prodotti degli agricoltori devono arrivare freschi sulle tavole degli italiani, senza svendere il loro valore aggiunto mangiato via dagli intermediari e da modelli economici che non riescono garantisce sviluppo locale. Il petrolio dell’Italia è il cibo.

In tutto questo discorso le produzioni che puntano alla quantità non sono contemplate nel Bel Paese, proprio per le caratteristiche vocazionali del nostro territorio. In quest’ultimo anno ho avuto la fortuna di girare l’Italia agricola. Sono stato nella terra dei fiori, una zona che va da Sanremo fino a Ventimiglia. Tra quelle terre baciate dal sole, il turismo e l’agricoltura stanno scomparendo lentamente. Accompagnato da Marco Damele agricoltore e attivo sostenitore dell’agricoltura locale, mi racconta che una volta il turismo era fervido in quella città così come l’agricoltura. Però i fiori che acquistiamo arrivano da terre lontane, spesso coltivati con compromessi ambientali e sociali che non valgono il costo che paghiamo così come il turismo che non arriva più e sceglie altre mete. Ma Marco Damele non si arrende e coltiva oltre che i fiori anche molte relazioni sul territorio creando uno sviluppo agricolo fatto di imprese, agricoltori e scommesse. Nonostante le profonde ferite del clima e degli ultimi diluvi di Novembre, sembra che questo territorio ligure fatto di piccole eccellenze mantenga, grazie al forte spirito dei suoi agricoltori, una sua caratteristica di unicità.

In Toscana ho incontrato invece Alberto Fatticcioni, apicultore , che come molti atri in Italia adesso combattono contro molti problemi legati ad una produzione che non guarda più al suo territorio.

Sono arrivate poi nuove malattie che stanno colpendo gli alveari. Il 2014 purtroppo ha visto un forte declino della produzione di miele. L’apicultura rappresenta un nostro punto chiave per il sostegno dei sistemi produttivi, perché dal servizo reso dalle api impollinatrici dipende il 70% dei prodotti alimentari di cui ci nutriamo. Il fenomeno curioso che stiamo vivendo in questi ultimi decenni è che sempre di più la biodiversità si è trasferita in città perché in campagna, fiori e piante spontanei diminuiscono. Così le api e gli insetti utili trovano sempre più spazio in città. Ho avuto il piacere di conoscere apicultori come Mauro Veca che alleva api in città a Milano. Ho avuto la fortuna di ascoltarlo durante un corso, il suo lavoro in città è una professione del futuro a cui tutti noi saremo grati.

A Torino allo stesso modo Antonio Barletta per il progetto Urbees, stanno diffondendo alveari proprio per l’importanza che questi speciali insetti hanno per i nostri sistemi agricoli e naturali. Negli ultimi anni abbiamo coltivato la città come molti altri, Milano si sta trasformando in città agricola grazie a tante iniziative spontanee dei cittadini più intraprendenti e grazie al Comune di Milano che sta costruendo un percorso sul verde in grado di dare alla città una forte caratteristica rurale-urbana. Si muovono nuovi piani. Ecco cosa ha dichiarato recentemente l’assessore De Cesaris: “Il comune di Milano approva un piano d’azione per Milano metropoli rurale. Per valorizzare il territorio rurale milanese e renderlo sempre più parte attiva nella vita della città, è stato siglato oggi l’Accordo quadro di Sviluppo territoriale: un innovativo strumento di governance e progettazione partecipata con cui il Comune di Milano, la Provincia, la Regione Lombardia e i quattro distretti agricoli dell’area metropolitana si impegnano a promuovere politiche attive che invertano un processo che per decenni ha confinato le aree rurali in ruoli e spazi residuali, restituendo loro centralità e funzionalità”.

A Milano, l’agricoltura urbana copre una superficie di 1.650.000 metri quadri, in questa grande superficie verde, ci sono tantissime realtà fatte di associazioni, gruppi spontanei e anche un ristorante. In Italia molte grandi città come Torino, Bologna, Roma, si stanno naturalmente orientando verso la coltivazione degli spazi verdi. L’agricoltura urbana diventerà uno dei temi più importanti nei prossimi decenni, cambiando radicalmente il nostro modo di vivere. Questa nuova agricoltura, assieme ai consumatori consapevoli, assieme alle agricolture che insistono nei territori iperurbani, creano un’alleanza per difendere la campagna, la biodiversità e il patrimonio alimentare.

Ho incontrato in quest’ultimo anno un Italia che continua a coltivare con una piccola produzione, attenta e coraggiosa. L’Italia che mi piace di più è quella che coltiva e custodisce con testardaggine e forza, portando avanti un valore territoriale che non è quantificabile in termini economici.

In queste feste, dedicate alla cura dei propri affetti e dei famigliari, credo che il gesto migliore sia sostenere gli agricoltori locali incontrandoli nei mercati, acquistando un prodotto che è frutto del nostro territorio che sostiene chi custodisce il futuro della terra che dovremo restituire ai nostri figli.

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