Il presepe? Lo fanno i migranti, anche musulmani. Mentre in alcune città d’Italia diventa il simbolo di uno scontro culturale (e materia di campagna politica), Rimini ospita per il 12esimo anno consecutivo la mostra “Presepi dal Mondo”, promossa da Caritas-Migrantes, con la partecipazione delle principali comunità di immigrati della città romagnola, impegnate nella realizzazione di opere sulla natività. “A tutti interessa il presepe – spiega il direttore della Caritas riminese, don Renzo Gradara – Tutti i ragazzi rifugiati in città e provenienti da Lampedusa, in grandissima maggioranza musulmani, hanno dimostrato una calda partecipazione. Il presepe è un’espressione di fede, ma è anche un’espressione culturale che coinvolge l’uomo, non solo cristiano. Questo è dimostrato sia dall’impegno dei migranti, che hanno messo in piedi i presepi con materiali della propria cultura, sia dalla continua processione di scuole e famiglie in visita, che lasciano volontariamente testimonianze positive”.
Costumi, tradizioni e tratti somatici raccontano le terre di origine degli autori con materiale di ogni genere: dalle foglie di banano alle canne di bambù
Ospitati nella sala dell’Arengo, i 25 presepi di grandi dimensioni dipingono i costumi, le tradizioni e i tratti somatici delle terre d’origine dei migranti, raccontando le storie di Perù, Ucraina, Bulgaria, Filippine, Colombia, Camerun, Senegal, Eritrea, Ecuador, Afghanistan e del popolo rom. Ogni anno l’esposizione registra circa 20mila presenze e per questa edizione, solamente nella prima settimana, sono state superate le mille visite. Le opere sulla natività sono affiancate da altri 300 presepi, di dimensioni più ridotte, anch’essi portati dai migranti e rivelazione delle loro più lontane radici.
L’obiettivo è dunque offrire agli immigrati la possibilità di incontrarsi ed esprimere la fede nella propria cultura, un desiderio evocato anche dal presepe proposto dal Forno della Vecchia Pescheria di Rimini, che raffigura alcuni monumenti della città ed è realizzato interamente con il pane, elemento che richiama la vocazione della città all’accoglienza e all’integrazione. I materiali utilizzati dalle comunità di migranti sono di ogni genere: cartapesta, foglie di banano, legno d’ulivo, lana, bottiglie di plastica, sughero, canne di bambù, materiale da riciclo.
Si ripete la “gara” tra i favoriti: i filippini rivelazione della mostra dello scorso e i peruviani che di solito sbancano
Tra le opere più caratteristiche il presepe bulgaro, realizzato interamente in lana grezza da una comunità di recupero di donne madri; il presepe afghano, creato da un migrante con bottiglie di plastica; il presepe romeno, che riproduce le piccole chiesette di Maramureș, distretto nella regione della Transilvania. Ma a lanciarsi la sfida, ormai da molti anni, sono la comunità filippina e peruviana: “Ovviamente lo scopo non è quello di vincere – spiega don Gradara –, ma è nata una specie di gara tra le comunità. Ogni anno il presepe del Perù vince, ma lo scorso anno quello filippino ha sbancato, perciò suppongo che quest’anno la comunità peruviana vorrà rifarsi della ‘sconfitta’ subita”.
Dopo i temi del lavoro e della famiglia, quest’anno la mostra si concentra sulla maternità, tema evidenziato anche da due mostre fotografiche: “Le Madonne con bambino delle chiese della Valmarecchia” e “Le Madonne internazionali”. Non manca infine un angolo dedicato alla Romagna e intitolato “Era ieri”, dove un gruppo di cultori della tradizione contadina romagnola di Villa Verucchio hanno messo in mostra gli oggetti legati alla nascita di un bambino nell’epoca compresa tra la fine dell’Ottocento e i primi anni Cinquanta: carrozzine, culle, bilance per pesare e misurare il bambino, girelli di legno, vasche da bagno. La mostra, ad ingresso libero, è aperta al pubblico tutti i giorni e si protrarrà fino a martedì 6 gennaio.